Filippo Timi: artista poliedrico

Filippo Timi film

Filippo Timi – All’ultimo Festival di Venezia era presente con ben quattro film ed è stato tra coloro che hanno suscitato più interesse.  Anche se, Quando la notte di Cristina Comencini, nelle sale dal 28 ottobre, che lo vede protagonista assieme a Claudia Pandolfi, è stato accolto al Lido in maniera discordante da critica e pubblico. Qualche risata e qualche fischio da parte della prima, mentre il secondo gli ha tributato otto minuti di applausi a fine proiezione.

 

Ad ogni modo, Filippo Timi è certo uno dei migliori talenti del cinema italiano contemporaneo. Se avete visto almeno una delle sue interpretazioni, sapete di cosa stiamo parlando: una recitazione sempre intensa e originale, una grande duttilità espressiva, un’energia dirompente, che si esprime prevalentemente attraverso l’uso del corpo dal quale, come ha dichiarato in una recente intervista, non riesce a prescindere. Al cinema ha interpretato personaggi introversi, solitari, timidi, ma anche folli, perversi, assassini, eroinomani, confrontandosi spesso col lato oscuro dell’essere umano.  Della sua collaborazione si sono avvalsi registi come Ozpetek, Salvatores, Bellocchio, Placido. Collaborazioni che gli sono valse una consistente e meritata visibilità in Italia e all’estero. Non dobbiamo poi dimenticare gli altri binari attraverso i quali si muove la creatività di questo artista.

L’ eclettismo è infatti una delle sue caratteristiche e gli si farebbe un torto, se si parlasse solo di cinema. Le altre sue grandi passioni sono infatti il teatro – dove ha lavorato  a lungo nella compagnia di Giorgio Barberio Corsetti, e dove negli ultimi anni riscuote ampi consensi  con spettacoli propri – e la letteratura, da non trascurare, visto che al folgorante esordio col romanzo Tuttalpiù muoio (2005), scritto con Edoardo Albinati, sono seguiti un libro di poesie, un “diario di lavorazione” dal set del film di Gabriele Salvatores, un pugno di racconti inseriti in una raccolta in volgare perugino (il nostro è un convinto assertore del valore del “dialetto”), ed è in lavorazione un nuovo romanzo.

Dunque un artista che si muove su più fronti, in cui dà forma con diverse declinazioni alla propria urgenza espressiva e creativa. E forse, a voler trovare un aggettivo che descriva il carattere della sua opera, “urgente” è il più adatto: urgenza d’esprimersi per convogliare energie e vitalità, affermare la vita stessa e il proprio amore per essa, nonostante ponga di fronte  a sfide e ostacoli continui.

Filippo Timi: artista poliedrico

Se volete conoscere nel dettaglio la biografia di Filippo Timii – parziale, romanzata, e tutti gli altri distinguo possibili che occorre tenere presenti in questi casi –  potete leggerla nel succitato romanzo, edito da Fandango. Ne desumo qui solo pochi dati: l’attore è nato a Perugia nel 1974 da madre infermiera e padre operaio e che nella sua vita di sfide ne ha dovute affrontare parecchie. Una serie di sfortune fisiche (che a vedere quest’etrusco alto, moro, con gli occhi verdi, dal fisico prestante, proprio non si direbbe): un problema ad una gamba da bambino, poi la balbuzie – da cui riesce a liberarsi solo quando recita – e i problemi alla vista, dovuti al morbo di Stargardt. Ma anche, esperienze esistenziali forti, che lo hanno profondamente segnato. Tutte cose  che però il nostro ha affrontato ed affronta con estrema ironia e autoironia.  Sorprendente è infatti la sua capacità di non farsi fiaccare dagli incerti dell’esistenza e anzi la dirompente vitalità con la quale ad essi reagisce. Animato anche da uno spirito di rivalsa, quasi da una rabbia nei confronti di questa “vita bestia”, che ha saputo però convertire in risorsa.

La sua formazione artistica è composita ed eclettica: ci sono gli studi sulla voce, flautofonia e canto armonico, quelli sull’espressività corporea e il teatro danza, gli studi di teatro con Davide Enia e Danio Manfredini e quelli di scrittura con Renata Molinari e Mariangela Gualtieri. Lavora al Centro per la Sperimentazione e la Ricerca Teatrale di Pontedera, preparando con Dario Marconcini Paolo di Tarso, poi con Cesare Ronconi, Robert Wilson, quindi Pippo Del Bono, prendendo parte allo studio preparatorio per lo spettacolo La rabbia. Trasferitosi a Roma, nel ’96 inizia un lungo sodalizio artistico con Giorgio Barberio  Corsetti,  che lo vuole nella sua compagnia. In questi anni perfeziona stili e tecniche, dando prova della sua grande versatilità. Con Corsetti s’instaura un rapporto di fiducia, al punto che nel ’99 questi sceglie di produrre con la compagnia due spettacoli per la regia dello stesso Timi: Medea e F. di O.. Nel frattempo, infatti, l’instancabile attore perugino è diventato anche regista teatrale. I due percorsi procedono paralleli e grazie alla collaborazione con Corsetti arriva anche la prima notorietà per Timi e i primi riconoscimenti. Nel 2001 è protagonista ne Il Woizeck, tre anni dopo è Satana in Paradiso, riscrittura di Paradise Lost di Milton e, sempre nel 2004, vince il Premio Ubu come miglior attore under 30 per Metafisico Cabaret. Il nostro, poi, non disdegna altre collaborazioni teatrali (ad esempio, Sogno di una notte di mezza estate di Elio De Capitani e La morte di Danton di Popowski). Nel 2005 esordisce come scrittore con la già citata “biografia parziale” Tuttalpiù muoio, scritta in coppia con Albinati: romanzo di  formazione e racconto di vita reale-realistico, drammatico, ma anche divertente, ironico, spiazzante delle vicende del giovane Filo da Ponte San Giovanni, che diventa un piccolo caso editoriale. Dal 2005 al 2007 Timi lo porta in scena, diretto ancora da Corsetti, col titolo La vita bestia, ottenendo un buon successo. Il binomio testo-spettacolo amplia notevolmente l’orizzonte della sua popolarità. Nel 2009 l’attività teatrale prosegue ormai speditamente e autonomamente e lo spettacolo da lui scritto, diretto e interpretato, Il popolo non ha il pane? Diamogli le brioche fa registrare il tutto esaurito in giro per l’Italia, riscuotendo il favore di critica e pubblico. Il risultato è dovuto, in parte, anche alla popolarità cinematografica raggiunta nel frattempo dall’attore perugino, che si è distinto in questi anni in diverse ottime interpretazioni per il grande schermo.

Il suo cammino nel mondo della settima arte inizia a metà anni Novanta, in produzioni indipendenti. Nel ’99 partecipa al film di Anna Negri In principio erano le mutande. Nello stesso anno inizia a lavorare con Tonino De Bernardi, che oltre a sceglierlo per Appassionate, nei  cinque anni successivi lo vorrà per altri quattro film, in cui Timi si occuperà anche della sceneggiatura. Tra i momenti più riusciti di questa collaborazione, senz’altro l’invenzione del personaggio del giovane travestito napoletano Antonello/Rosatigre, protagonista sia di Rosatigre (2000), che di Fare la vita (2001).

Nel 2006 è diretto dall’esordiente Francesco Fei in Onde ed è protagonista del cortometraggio di Matteo Rovere Homo homini lupus, vincitore del Nastro d’Argento. Il 2006 però è anche l’anno che lo vede uscire dal circuito  del cinema indipendente – in cui comunque non disdegna tuttora incursioni, anche per piccoli ruoli. È scelto infatti da Saverio Costanzo per interpretare la problematica figura di un seminarista ribelle nel film In memoria di me. Pochissime parole, ma una gestualità e un’espressività del volto efficacissime caratterizzano l’interpretazione di Filippo Timi, rendendo il suo Zanna di gran lunga il personaggio più interessante del film. Interessante al punto che l’anno dopo Filippo Timi è contattato da uno dei nomi di spicco dell’ultima generazione di registi del cinema italiano: Ferzan Ozpetek (turco di nascita, ma ormai italiano, e anzi romano d’adozione). Prende così parte a quel grande affresco su amicizia, amore e morte che è Saturno contro. È un piccolo ruolo il suo, ma anche qui riesce a caratterizzare al meglio Roberto: un poliziotto piuttosto pigro, passivo, una sorta di bambinone, sposato a Neval/Serra Yilmaz. Il ruolo gli consente di dimostrare ancora una volta il suo talento e la sua versatilità, unendosi a un cast di nomi già ampiamente noti: Pierfrancesco Favino, Ennio Fantastichini, Stefano Accorsi, Margherita Buy, Lunetta Savino, Luca Argentero, Ambra Angiolini.

Nello stesso anno, Filippo Timi prende parte, stavolta in veste di protagonista maschile, alla pellicola di Wilma Labate Signorinaeffe. Qui la regista sceglie un evento forse poco noto nella “macrostoria” italiana e certo poco conosciuto dalle giovani generazioni, come lo sciopero degli operai della Fiat nel 1980 contro il piano di licenziamenti, imposto dall’azienda.  L’epilogo di quella vicenda è anche il risultato della profonda spaccatura tra gli stessi lavoratori (impiegati da una parte e operai dall’altra, per la prima volta su due fronti apertamente contrapposti). Il licenziamento di migliaia di operai viene visto come l’inizio della perdita di forza del movimento operaio. Per mostrarci questo, però, la regista sceglie la “lente” di un amore impossibile che nasce, del tutto inatteso, in quei giorni di protesta fra l’operaio Sergio/Filippo Timi e l’impiegata Emma/Valeria Solarino. L’incontro con Sergio sconvolge  la vita di Emma e mette in crisi tutte le sue certezze: su sé stessa, sul suo lavoro, sulla famiglia e ovviamente, sulla sua relazione con Silvio/Fabrizio Gifuni, che fino a poco prima pensava di volere sposare. Sergio è un tipo burbero, di poche ma incisive parole, diretto, schietto e caparbio, che s’innamora a prima vista di Emma e vuole a tutti i costi averla per sé. Ci regala sguardi alla Gian Maria Volonté, ma non il cinismo di alcuni personaggi di quest’ultimo, che non si confà al suo Sergio. Lui e Valeria Solarino rendono bene l’alchimia  di questa coppia, fatta di attrazione e distanza al tempo stesso.

Sempre nel 2007 Filippo Timi prende parte a I demoni di San Pietroburgo di Giuliano Montaldo. L’anno dopo, è Salvatores a chiamarlo a interpretare il ruolo del padre disoccupato e filonazista Rino Zena in Come dio comanda, tratto dall’omonimo romanzo di Niccolò Ammaniti. Rino ama profondamente il figlio Cristiano, ma accanto a questo amore e alla voglia di crescerlo al meglio ci sono i problemi di una vita dura e aspra tra le montagne del Friuli, che hanno forgiato in Rino un carattere parimenti spigoloso. È un “ragazzo padre” senza lavoro, che si confronta ogni giorno con istituzioni che non lo aiutano affatto a risolvere i suoi problemi, ma anzi minacciano di togliergli l’unica cosa che conta per lui: suo figlio. Filippo Timi si tuffa in questo personaggio complesso con la consueta passione e lo rende con convincente aderenza: violento, misogino, attaccabrighe, quasi inavvicinabile. Al figlio insegna a coltivare odio e rancore nei confronti del prossimo, a difendersi dagli altri, ad attaccare per primo se necessario. Il tutto, “a fin di bene”, credendo così di evitargli dolore e sofferenza. Anche al suo amico “picchiatello” Quattroformaggi fa da padre Rino, cercando di colmare i vuoti lasciati da famiglia e istituzioni. Nella seconda parte, però, anziché continuare ad indagare il complesso rapporto padre-figlio, Salvatores fa “un altro film”, un thriller. Protagonisti sono proprio l’adolescente Cristiano/Alvaro Caleca, costretto a cavarsela da solo in una situazione che gli sfugge progressivamente di mano, e Quattroformaggi/Elio Germano, che da picchiatello ingenuo e innocuo si trasforma in assassino – ottima interpretazione anche per Germano, in un ruolo tutt’altro che semplice. Due film in uno insomma, ciascuno un po’ sacrificato.

Dopo aver interpretato un padre filonazista, Filippo Timi è pronto per vestire i panni di Benito Mussolini in Vincere  di Marco Bellocchio. È un film che ha a che fare con la nostra storia, chiaramente, ma è anche un film sulla follia, colta in diversi aspetti, e sul labile confine tra questa e una presunta “sanità”. C’è, infatti, l’ostinazione estrema e quasi cieca di Ida Dalser (un’intensa Giovanna Mezzogiorno), che si dedica anima e corpo alla sua relazione col Duce, e non rinuncia a reclamare il suo posto accanto a lui come sua prima moglie e madre di suo figlio Benito Albino, anche a costo della reclusione in manicomio. Poi, c’è Mussolini, con la sua smania di affermazione e i suoi sogni di gloria rispetto ai quali tutto passa in secondo piano. E c’è la drammatica figura di Benito Albino: il figlio nato dall’unione del duce con la Dalser, schiacciato dalla figura del padre, assente materialmente dalla sua vita, ma che pure lo ossessiona e lo porterà al delirio. Filippo Timi dà prova di saper caratterizzare efficacemente sia il padre che il figlio, in maniera originale, puntando molto sull’elemento fisico e sulla sua duttilità espressiva. Il film è l’unico italiano in concorso al Festival di Cannes, ma non ottiene premi in questa sede. Al  contrario,  trionfa ai David di Donatello, portando a casa il premio per la miglior regia, ed altre sei statuette. Con questa pellicola, Filippo Timi verrà apprezzato anche all’estero: otterrà una nomination agli EFA come miglior attore europeo e andrà in America a prendersi il meritato premio come miglior attore al Chicago International Film Festival.

Nello stesso anno partecipa al thriller di Giuseppe Capotondi La doppia ora, al fianco di Kseniya Rappoport, con cui approda al lido di Venezia in concorso. Otterrà il Premio Pasinetti come miglior interprete del 2009. Nel 2010, dopo una piccola parte – per la quale però, ha recentemente affermato, si è preparato “come per un ruolone” – e una collaborazione alla sceneggiatura de La solitudine dei numeri primi di Saverio Costanzo, è nel cast di The American di Anton Corbijn. Nel 2011 è nelle sale italiane diretto da Michele Placido in Vallanzasca – Gli angeli del male, in cui interpreta ancora un ruolo non facile: quello di Enzo, amico d’infanzia di Renato Vallanzasca/Kim Rossi Stuart, la cui storia il film ricostruisce. “Enzino” è davvero legato a Renato da un vincolo quasi fraterno, ma è anche il più debole della banda. Nel corso del film lo vediamo diventare un tossico paranoico, tentare  di rubare in casa del suo migliore amico, fare la spia, perdere ogni dignità, scivolando progressivamente verso un inevitabile abisso. E Filippo Timi offre un’ottima prova anche qui confrontandosi con l’ennesimo groviglio di pulsioni, istinti ed emozioni umane, con le luci, ma soprattutto con le molte ombre di questo personaggio. Il film partecipa fuori concorso a Venezia 2010. Rossi Stuart ottiene il Nastro D’Argento come miglior attore protagonista per la sua interpretazione di Vallanzasca.

A Venezia 2011 invece, Filippo Timi è presente con ben quattro pellicole, come si diceva in apertura: Ruggine di Daniele Gaglianone, in cui si trova, anzi, pare sia stato lui stesso a consigliare al regista di sceglierlo per interpretare “il male”, il ruolo dell’orco cattivo che segna per sempre la vita di un gruppo di bambini nella Torino di fine anni Settanta. La sua caratterizzazione della schizofrenia del dottor Boldrini, del suo delirio, della follia omicida di un pedofilo è di sorprendente efficacia, resa forse anche maggiore dalla chiave scelta dal regista, che non vuole mostrare apertamente la violenza, il sangue, l’assassinio, ma ce lo lascia in gran parte immaginare. Nel cast, nei ruoli dei tre bambini, ormai divenuti adulti, Valerio Mastandrea, Stefano Accorsi e Valeria Solarino, che Filippo Timi aveva già ritrovato l’anno prima sul set di Placido. L’attore perugino ha preso parte anche al documentario di Davide Ferrario Piazza Garibaldi  ed è ora in sala con altri due lavori presentati a Venezia: Quando la notte di Cristina Comencini, tratto dal libro della stessa regista, che lo vede nel ruolo della guida alpina Manfred, accanto a Claudia Pandolfi/Marina, madre in difficoltà. E Missione di pace, esordio di Francesco Lagi, cui ha voluto partecipare (nell’insolita veste di Che Guevara), testimoniando ancora la considerazione da sempre nutrita per i “piccoli film” e per i “piccoli ruoli”.

Infine, prossimamente lo potremo vedere a teatro. Dal 22 novembre al 4 dicembre porterà infatti al Teatro Quirino di Roma il suo spettacolo Favola, che dopo il successo delle repliche milanesi, proprio  dalla capitale inizierà il suo tour in giro per l’Italia.

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