Il colpo di CODA degli Oscar 2022: le ragioni di un trionfo

Meritevole o meno, anche nella vittoria di  Sian Heder si nasconde un atteggiamento ormai radicato nel tempo da parte dell’Academy

Coda - I segni del cuore film 2022

Si sentiva sempre più forte muoversi nell’aria, investire i pronostici, balzare nelle scommesse, e alla fine l’ipotesi si è fatta realtà, concretizzandosi nella lettura dell’agognata busta. Dopo tre ore e mezza di una cerimonia fiacca, meccanica e poco sentita, CODA – I segni del cuore vince il premio Oscar 2022 come miglior film; una vittoria annunciata, criticata, apprezzata, sintomo di un senso di inclusione e sensibilità da parte dell’Academy per dei tempi che cambiano. Ed è proprio partendo da quest’ultimo spunto che, a mente fredda, quel premio nasconde alle spalle un moto anticipatore, una predizione imbastita da scelte pregresse, vittorie precedenti, che hanno indirizzato la vittoria verso un ambito più politicamente corretto, che ancora una volta si ripetono. CODA è un film godibile, di cuore, che affonda in ogni gesto un passo in avanti verso l’interiorità dei propri spettatori. Ed è proprio all’ombra di quei gesti, di quelle bocche che si aprono senza emettere suono che si celano i motivi che hanno portato alla vittoria finale. 

 

Prima di stilare le motivazioni che hanno portato l’opera di Sian Heder (remake del francese La famiglia Bélier) a trionfare in ben tre categorie (Miglior film, Miglior sceneggiatura non originale e Miglior attore non protagonista a Troy Kotsur, primo attore non udente a vincere tale premio), è bene sottolineare una situazione tanto scottante, quanto molto spesso sottovalutata: il cinema è una finestra sulla nostra realtà, parla di noi anche in quei generi che appaiono del tutto lontani dalla nostra contemporaneità come la fantascienza o l’horror. Eppure, è in quel discorso anticipatore puntato sul futuro che si parla del presente: i mostri, gli alieni, i robot, non sono altro che contenitori metaforici di moniti di denuncia nei confronti della società a loro contemporanea. Attraverso la lente di una cinepresa, una realtà finzionale viene sfruttata per parlare di un’altra realtà, quella vera, quella che prende, modella, e influisce la vita dei propri spettatori. 

Nel buio della sala il pubblico viene investito di storie e moniti circa la propria condizione sociale e culturale, ed è proprio lanciandosi verso questa direttrice di significato che l’Academy si è sempre più allineata, finendo per premiare opere fortemente sensibili e inclusive, che prediligano aspetti politici, piuttosto che artistici. 

Ed ecco che un film come CODA si inserisce perfettamente in questa galleria di pellicole intrise di argomenti politically-correct, personaggi e storie inclusive e immersive, sebbene ignorando e mettendo in secondo piano l’aspetto più tecnico e artistico. Sono film che puntano a unire, piuttosto che a dividere, abbracciare il giudizio unanime, piuttosto che quello separatista.

La trama di CODA – I Segni del cuore

Al centro del film vi è la diciassettenne Ruby, una ragazza, figlia udente di un’intera famiglia di persone sorde. Ogni mattina, prima di andare in classe, la giovane aiuta i genitori e il fratello a gestire l’attività di pesca, facendosi al contempo referente principale per contrattare la vendita del pesce. Ma tra le lezioni e le uscite in barca, Ruby ha tempo anche per alimentare la sua grande passione: il canto. Entra così nel coro della scuola diretto dal maestro Bernardo Villalobos che nonostante la sua severità riconosce nella ragazza un grande talento più unico che raro, tanto da prepararla per l’audizione a una prestigiosa scuola. Ruby si trova ora a un bivio: seguire i propri sogni o continuare ad aiutare la sua famiglia?

Basta dare una veloce lettura alla sinossi per comprendere perché CODA è riuscito a salire sul palco nel momento più importante della serata degli Oscar vincendo come “miglior film”. Perché è un film innanzitutto semplice, senza pretese, che riesce a parlare in maniera diretta al cuore del proprio spettatore senza mezzi termini o attraverso narrazioni e strumenti linguistici complessi. Sfruttando la potenzialità di una regia altrettanto semplice, canonica, perlopiù statica perché improntata su inquadrature fisse e prive di virtuosismi tecnici, e di un montaggio altrettanto lineare, poco composito, fatto soprattutto di campi e controcampi, CODA comunica in maniera diretta a uno spettatore che non ha più bisogno di elucubrazioni mentali, o processi complessi di interpretazione per comprendere il senso del film.

Lontano da una struttura pluri-semantica, quello che CODA mostra corrisponde perfettamente a ciò che racconta, facilitando l’immedesimazione spettatoriale e il processo di condivisione affettiva tra il mondo dentro e fuori la cornice cinematografica. Posti sullo stesso piano dei personaggi sullo schermo si crea tra spettatore e la sua controparte filmica un rapporto privilegiato e di complicità, il che va a confermare – enfatizzando – il secondo motivo che ha permesso a CODA di trionfare sul palco dei Dolby Theater: la componente emotiva. Lo stretto rapporto tra Ruby (Emilia Jones) e la sua famiglia, ha innescato nello spettatore quella parte più emotiva di animale sociale che a seguito di un periodo complicato come quello della pandemia, e poi quello drammatico della questione bellica tra Ucraina e Russia era venuto meno. Ci stavamo dimenticando di essere umani, di essere persone bisognose di sentimenti, di calore pronto a scorrere nelle vene bruciando il cuore, e una pellicola come quello diretta da Heder non ha fatto altro che ripristinare il processo fino a bagnare le guance di lacrime dolci e riempire l’anima di speranza.

Ponendo al centro della storia una famiglia sordo-muta (CODA non è altro che l’acronimo di “Children Of Deaf Adults”, cioè, “figli di genitori sordi”) il film si discosta inoltre da quell’immagine di perfezione mediatica impostaci e suggerita dalle mode di una società bombardata sui social-media. Un’agiografia della diversità mai retorica, ma onesta, che senza orpelli narrativi e suggerita da performance sincere, di uomini e donne che a causa dei propri deficit gli ostacoli della vita li affrontano con coraggio tutti i giorni (gli attori sono veramente sordo-muti), colpiscono ancora più al cuore.

Un elemento che di certo non passa inosservato, soprattutto agli occhi di un meccanismo alimentato da un’attenzione al giudizio degli altri, con fare a volte ipocrita e bigotto come quello dell’Academy. 

Il sacrificio della celebrazione dell’arte

In tutta questa giostra di buoni sentimenti e inclusione, che tanto piace ai membri dell’Academy perché permette loro di perorare un discorso di inclusione verso gli inascoltati e gli emarginati, continua a sussistere un grande e gigantesco “ma”. Abbagliando il proprio metro di giudizio da questo fumo di stampo politico, si sacrifica uno dei motivi che sta alla base dell’istituzione stessa degli Oscar: la celebrazione dell’arte. Stabilire quale sia in maniera netta e oggettiva il migliore film della stagione è pressoché impossibile. Essendo un film un’opera d’arte, è oggetto alla sensibilità soggettiva del gusto personale di ogni spettatore/votante.

Eppure, se è vero che sussiste sempre una componente di giudizio soggettivo, ne esiste un’altra più oggettiva, basata su elementi e strumenti tecnici che permettono la valutazione dell’opera da un punto di vista prettamente obiettivo. Fotografia, regia, montaggio, sonoro, si elevano pertanto a strumenti di giudizio che aiutano a comprendere la fattura artistica di un’opera cinematografica, a cui si andrà ad aggiungere la sua controparte più sentimentale. In CODA a prevalere nettamente è la sua componente emotiva, il cuore che batte più veloce di quanto la mente possa creare e pensare. Questo comporta un dislivello che finisce per rivestire l’intera pellicola di un anonimato che a lungo andare rischia di farla cadere nel dimenticatoio di quei film apprezzati nello spazio di una visione, ma pronti a essere sostituiti da altri più immersivi, più coinvolgenti, perché più in equilibrio tra tecnica ed emozione, anima e corpo, corpo e mente. 

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