Incontriamoci a Saint Louis: analisi del fim di Vincente Minnelli. Gerald Kaufman la chiama la grotta di Alì Babà , lo studio di Arthur Freed, dove si conservano tutti i documenti della fase di pre-produzione di Meet me in Saint Louis.
Il film nasce su proposta dello stesso Freed, che prende lo spunto da una serie di racconti di Sally Benson. Nel 1941 il New Yorker pubblicò una serie di otto racconti brevi sotto il titolo di 5135 Kensington, firmati appunto dalla Benson. Successivamente la scrittrice aggiunse agli originari otto, altri quattro racconti, ognuno dei quali raccontava un mese dell’anno, il 1903, pubblicando la raccolta The Kensington Stories. Si trattava di racconti autobiografici riguardanti la sua vita al 5135 di Kensington, a Saint Louis, nel Missouri. La M.G.M. acquistò i diritti cinematografici, radiofonici e televisivi del libro per 25.000 $. Dopo numerosi avvicendamenti alla stesura della sceneggiatura tratta dal libro , la Metro si trovò il 16 luglio del 1943 con una sceneggiatura che gli era già costata 86.616 $. La storia si basa su una saga familiare, fu molto importante quindi, in fase di scrittura, tener presente i luoghi dell’ azione. È infatti casa Smith il luogo deputato allo svolgimento dei fatti, se non in maniera esclusiva, almeno in prevalenza.
La famiglia Smith è composta dal padre (Leon Ames) burbero ma di buon cuore che, annunciando un suo possibile trasferimento a New York per motivi di lavoro, muove l’azione e minaccia l’allontanamento dall’amata Saint Louis; dalla dolce madre (Mary Astor ); quattro sorelle, due maggiori (Judy Garlana, e Lucille Bremer), alle prese con amori e proposte di matrimonio, e due minori (Margaret O’Brien e Joan Carroll), che come unico interesse hanno ancora i giochi di bambole ; da un fratello maggiore (Henry H. Daniels Jr.), in procinto di partire per il college; da una governante (Marjorie Main) che, lungi dall’essere una semplice serva, fa parte della famiglia e infine dalla simpatica figura del nonno (Harry Davenport).
Le riprese cominciarono nel
dicembre del 1943; Arthur Freed teneva particolarmente a questo
progetto, prima di tutto perché la storia risvegliava la sua
nostalgia dei tempi passati, e poi perché era cosciente che in un
periodo di instabilità, come lo furono gli anni ’40 per il mondo
intero , era necessario che il cinema mostrasse agli americani
quanto potesse essere bella la vita legata alla propria famiglia.
Nell’intensione di Freed, era il valore dell’importanza della
famiglia quello che doveva arrivare allo spettatore, e
l’interpretazione del film da parte di Minnelli e del cast
artistico rese in pieno i suoi intenti.
Per quanto riguarda la splendida colonna sonora, solo quattro brani
vennero scritti appositamente per il film. I principali curatori
delle musiche furono Hugh Martin e Ralph Blane, che avevano già
lavorato per Freed in Best Foot Forward e che per il film scrissero
“The Trolley Song”, “Have Yourself a Merry Little Christmas” e “The
Boy Next Door”, canzoni diventate veri e propri classici nel
repertorio di Judy.
La sceneggiatura subì alcune
piccole modifiche a seguito delle correzioni suggerite dai censori
dell’ufficio Hays a Louis B. Mayer, e dopo un investimento
preventivo di 1.536.971 $ e un piano di lavorazione di 58 giorni le
riprese erano pronte per cominciare.
Dopo alcuni problemi legati all’ingaggio degli attori protagonisti,
il cast artistico fu completato con l’aggiunta di Tom Drake nella
parte del ragazzo della porta accanto, e di Leon Ames, per il ruolo
del Signor Smith .
Tuttavia per cause indipendenti dalla produzione si verificarono sul set dei piccoli ritardi sul piano di lavorazione; tra i tanti problemi ci furono le assenze della piccola Margaret O’Brien per motivi di salute, oppure dai frequenti mal di testa di cui soffriva Judy in quel periodo. Le riprese proseguirono comunque con questi ritardi e terminarono nell’aprile del 1944. Quando il film uscì nelle sale, si classificò al secondo posto della classifica dei film col maggiore incasso nella storia del cinema americano.
Il film
La prima cosa che colpisce nello sfavillante Tecnicolor di Meet me in Saint Louis è l’opulenza e la meticolosità di ogni singolo fotogramma. Vincente Minnelli alla sua prima prova con il colore si comporta in modo eccellente sfruttando al massimo le potenzialità di questo nuovo mezzo. Costruisce una ricchezza della scena e dell’arredo che può essere paragonata a quella di Visconti, e la sua propensione alla cura del dettaglio fu accolta dalla M.G.M. e da Arthur Freed con fervore.
Ovviamente si tratta di un musical e la regia affidata a Minnelli gli da un’impronta particolare a partire dal rapporto tra numeri musicali e storia. Infatti Saint Louis è uno dei primi musical cinematografici ad avere una continuità diegetica tra le canzoni e la storia, anzi i numeri vengono generati proprio dall’azione dei personaggi, come succede nei musical di Broadway. Minnelli, cresciuto artisticamente a teatro, è da considerarsi il principale fautore di questa coerenza narrativa.
Seguendo lo stile dei racconti originali, il film è diviso in quattro sequenze corrispondenti alle quattro stagioni. Tuttavia la complessità dei racconti della Benson viene appianata scegliendo solo alcuni degli episodi principali, tralasciandone altri di importanza secondaria rispetto all’andamento diegetico.
I quattro segmenti del film sono indicati da altrettanti cartelli, che rappresentano casa Smith, ognuno dei quali fa riferimento ad una stagione dell’anno e contrassegnati da variazioni cromatiche che si protraggono per tutta la durata del segmento interessato. D’estate è prevalente il rosso e rosa, l’autunno si tinge di arancio, giallo e marrone, quasi a rievocare il colore delle foglie morte, l’inverno diventa blu profondo e la primavera di un bianco abbacinante. Nella parte finale si percepisce una sorta di climax cromatica a partire dalla scena in cui una Tootie sconvolta distrugge gli omini di neve in giardino. Il Signor Smith è vestito di nero, immerso nella profonda oscurità della camera; la bambina corre fuori nella notte (di un blu profondo) e distrugge i pupazzi; una piccola fiammella arancione schizza dal cerino con cui il padre accende la sua pipa; la bambina viene portata dentro e arrivano a poco a poco le lampade ad illuminare il salotto di casa Smith, prima tra tutte quella della domestica. La famiglia al completo è ora nel salotto illuminato, e dalla notizia della decisione del padre di rimanere a Saint Louis scaturisce la luce della gioia familiare , che sfocia nel quarto quadro. Chiude la climax cromatica e tematica la famiglia vestita di bianco sotto al sole primaverile.
Il movimento della mdp è misurato
ed attento, mai frenetico, a volte addirittura magico. Basti
pensare alla scena del ballo di Natale in cui la macchina sembra
attraversare la finestra. Con i travelling digitali concessi dalla
tecnologia odierna, questo movimento passa quasi inosservato, ma
per il 1944 si tratta di vera abilità nel costruire e montare la
scena.
In linea generale il film non è di difficile realizzazione, ma la
bravura di Minnelli sta nel rendere in maniera semplice la
complessità delle dinamiche interpersonali sulle quale si regge la
diegesi. Una scena di difficile esecuzione rende ben chiaro questo
concetto. Si tratta del momento finale della festa in onore del
figlio maggiore di casa Smith, quando tutti gli invitati vanno via
e Esther cerca di ricevere il bacio della buona notte da John
Truett, del quale è segretamente innamorata. Il ragazzo aiuta
Esther a spegnere le luci a gas della casa e l’azione si svolge
quindi attraverso le stanze del piano inferiore. La scena è girata
in piano sequenza e la difficoltà della realizzazione non sta solo
nel percorso intricato che operatore doveva seguire attraverso la
casa, ma soprattutto nel lavoro del direttore della fotografia che
doveva confrontarsi con una luce continuamente variabile proprio a
causa della diegesi che prevedeva lo spegnimento progressivo delle
numerose luci a gas di casa Smith. La scena originale consisteva in
cinque pagine di dialogo che Minnelli decise di tagliare lasciando
parlare la mdp e gli sguardi imbarazzati degli interpreti.
Tutto il film è costellato da momenti molto divertenti, alternati a momenti di estrema dolcezza. Ad esempio la notizia della minacciosa partenza da Saint Louis interrompe la degustazione di una torta che viene poi ripresa e gustata da Esther e Tootie mentre il padre canta accompagnato al pianoforte dalla madre. Ma prima su tutte si ricorda l’estrema dolcezza della scena in cui Esther tenta di consolare la piccola Tootie cantando “Have Yourself A Merry Little Christmas”. La luce soffusa sfoca i contorni dei volti delle due attrici, dando all’inquadratura una dimensione a sé stante, quasi sospesa.
L’alto costo del film non fu determinato solo dai ritardi nella realizzazione delle riprese, ma la maggior parte del budget fu utilizzato per ricostruire in studio la casa in stile gotico della famiglia Smith . Inoltre la scena del tram fu progettata in maniera tale da necessitare di un veicolo disegnato e costruito appositamente per il numero musicale. Il veicolo doveva essere largo, ampio e resistente abbastanza, da sostenere il peso e i movimenti dei ballerini. Inoltre la struttura doveva essere particolareggiata per permettere una ripresa che variasse angolazioni senza perdere verosimiglianza. Propri questa è una delle più movimentate ed emotivamente coinvolgenti. Il bel ragazzo della porta accanto arriverà o no? Tutti siamo coinvolti dal dolce interrogativo di Esther; allo stesso modo siamo trascinati dal ritmo incalzante di “The Trolley Song”, quando John arriva correndo e sale al volo sul tram.
Minnelli si rivela sapiente
nell’intreccio di scene dal ritmo diverso. La scena di apertura
scandisce subito le dinamiche familiari, mi riferisco alla
preparazione della salsa di pomodoro che dimostra prima di tutto il
ruolo della domestica, non una sottoposta, ma un componente della
famiglia a tutti gli effetti. La scena da anche quel tocco di
quotidianità tanto ricercato da Freed nella sua ferma volontà
riguardo a questo progetto.
“You and I”, cantata dai coniugi Smith, ha un particolare tono
emotivo dovuto anche alla scelta di Minnelli di non utilizzare il
doppiaggio di un cantante professionista, ma la voce di Arthur
Freed in persona , che si definì onorato di poter partecipare in
questo modo al film.
La sequenza che più aderisce ai
racconti originali delle memorie d’infanzia di Sally Benson è
quella di Halloween, ed è anche uno dei motivi principali che
spinsero Minnelli ad accettare la regia del film. Nei racconti, la
bambina coinvolta nello scherzo al vicino è Anges, e non Tootie,
perché Agnes in realtà è la Beston. La ripresa della scena durò sei
ore e Minnelli dovette combattere contro le reticenze di Freed per
includerla nel montaggio finale del film.
Scena dopo scena tutta la narrazione si sviluppa mostrando
l’opulenza della messa in scena, sia essa incentrata su
ambientazioni scarne come le strade della notte di Halloween, o su
sfarzose feste di Natale con accurati ed intelligenti movimenti di
macchina.
Nonostante l’ottima performance di tutti gli attori, spicca tra
tutti la piccola Margaret O’Brien, attorno alla quale gira l’intera
sequenza di Halloween e che vinse un Baby-Oscar per la miglior
interpretazione da attrice bambina, la stessa che Judy meritò per
Il Mago di Oz.
Tuttavia non bisogna dimenticare che all’epoca Judy aveva diciassette anni, mentre Margaret ne ha solo sette quando interpreta Tootie. Il suo personaggio è costruito su una figura di bambina stravagante, quasi macabra che seppellisce le sue bamboline, dopo che queste sono state, nella sua immaginazione, a lungo malate. Tootie sembra crescere all’interno del film, nell’arco dell’anno dal quale è costituito il tempo diegetico. La sua scena di apertura è quella in cui siede sul carretto dell’uomo dei gelati, e, in maniera speculare in chiusura, guiderà l’intera famiglia alla fiera di Saint Louis seduta sul calesse al fianco del cocchiere.
Se Judy nei panni di Esther finì sulla copertina di Life, Margaret ebbe gli elogi incondizionati di James Agree . Il critico dimenticò quasi di menzionare Judy, osannando la performance della O’Brien, definendola l’unico elemento luminoso in un film dall’andamento prevedibile nel quale non accade nulla. Giudizio duro ed ingiusto per un film che anche se non offre grande mobilità narrativa, espone i moti dell’animo. La minaccia della partenza dalla beneamata Saint Louis non fa altro che rafforzare i legami familiari e sancire definitivamente il solito messaggio che nessun posto è come casa propria. Ancora una volta, ancora per bocca di Judy.
Confrontando le storie di Sally
Beston con il film completo è evidente un processo di
‘edulcorazione dell’originale’ operato dagli sceneggiatori.
Sono stati eliminati infatti tutti gli episodi che, a giudizio di
Freed, avrebbero potuto intaccare l’aura di serena quotidianità
familiare che questo film doveva trasmettere. Scartati infatti sia
l’episodio della malattia della madre, sia quello, conseguente alla
notte di Halloween, in cui il personaggio di Tom Drake viene
accusato dal dottore di aver aggredito Tootie. L’intenzione
dichiarata di Freed era appunto quella di raccontare una semplice
storia il cui messaggio finale dovesse replicare quello di The
Wizard of Oz: there’s no place like home.
Il film finisce su un frozen-frame tematico. Più chiaramente, per
nessuno dei personaggi è previsto un futuro delineato dopo la scena
finale della fiera. L’atmosfera edulcorata di tutto il film
riflette la felicità perfetta, presente, perpetua degli abitanti di
Saint Louis. La felicità “right here where we live, in Saint Louis”
.
Judy
Judy interpreta Esther, la seconda delle quattro sorelle Smith, nel ruolo della quale offre una performance toccante e delicata, soprattutto nel rappresentare il suo candido amore verso il timido ragazzo della porta accanto, John Truett (Tom Drake). Il film rappresenta un punto di svolta nella sua carriera e nella sua vita. Meet me in Saint Louis è uno dei più bei film della Garland, integro nella sua perfezione, una gioia per gli occhi. È paradossale pensare che la stessa Judy non volesse parteciparvi a causa del ruolo da diciassettenne che le era stato offerto. Il suo film precedente era stato Presenting Lily Mars, nel quale aveva interpretato la prima “donna” della sua carriera. Indossare in panni della giovane Esther sarebbe stato un passo indietro nella sua carriera, tuttavia il personaggio della seconda sorella Smith è costruito in modo tale da rappresentare comunque una bella prova per Judy, oltre a darle la possibilità di interpretare alcune delle più belle canzoni di tutto il suo repertorio. Inoltre il personaggio fu costruito dagli sceneggiatori appositamente intorno a lei.
Tuttavia, forte dell’appoggio di
Mayer, la Garland esitava ad accettare il ruolo, tanto che solo
l’intervento diretto di Minnelli riuscì a persuaderla ad
interpretare Esther.
Nonostante l’età del suo personaggio, Judy riuscì comunque a
sviluppare le sue capacità espressive davanti alla mdp. Una tappa
apparentemente secondaria per questo tipo di ruolo, ma fondamentale
per Judy, fu il suo approccio con il make-up. La sua truccatrice fu
Dotty Ponedel, che aveva truccato in passato Marlene
Dietrich. Judy si presentò in sala trucco con delle protesi per
naso e denti con l’intenzione di farsele applicare sul viso, ma la
Ponedel le disse che era una ragazza carina e che non doveva dar
peso al fatto che il suo volto non fosse esattamente simmetrico. Le
evidenziò in modo particolare la linea degli occhi e il contorno
delle labbra, in modo molto naturale. Judy non era mai stata così
bella. Da allora Dotty fu la sua truccatrice per tutti i film che
avrebbe interpretato in seguito. La stessa Ponedel disse che
truccare Judy per lei divenne difficile in seguito, quando il suo
peso cominciò ad aumentare, ed era difficile renderla attraente, ma
per Saint Louis “il peso non era un problema, Judy era felice
allora” .
I critici non considerano
all’unanimità Meet Me in Saint Louis un capolavoro, resta però
indiscusso che Minnelli fa del film una lettera d’amore per Judy.
Fin dalla prima inquadratura, ogni fotogramma nel quale è ripresa
Judy è un quadro nel quale spicca la sua figura, come quando
incorniciata da elementi architettonici della casa canta “The Boy
Next Door”, oppure quando attorniata da un gruppo di donne nella
sequenza del tram, il suo viso spicca tra i merletti dei cappelli
che la circondano mentre canta “The Trolley Song”.
Meet me in Saint Louis non è solo il film che ha offerto a Judy una
nuova immagine e che ha consacrato Minnelli come grande regista
anche al di fuori di Broadway, ma è anche stato set dell’incontro
professionale e sentimentale di questi due grandi artisti. Per la
fine delle riprese del film, i due già abitavano insieme
combattendo contro l’astio di Ethel, madre di Judy, che si opponeva
a questa unione. Per Minnelli, Judy accelerò le pratiche del suo
divorzio da David Rose. Con Meet Me in Saint Louis, Judy Garland
lascia dietro di sé una performance memorabile, una ventata di
felicità che non lascia presagire nessuna delle tempeste che
purtroppo sarebbero seguite nella sua vita.
Tratto da: Judy Garland: cantando sotto l’arcobaleno
(tesi di laurea triennale di Chiara Guida)