9 settimane e ½: la spiegazione del finale del film

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Uscito nel 1986, 9 settimane e ½ rappresenta uno dei titoli chiave nella filmografia di Adrian Lyne, regista che ha costruito la propria identità autoriale esplorando il desiderio come territorio ambiguo e pericoloso. Dopo Flashdance e prima di Attrazione fatale e Proposta indecente, il film segna il passaggio definitivo di Lyne verso un cinema più adulto, sensuale e disturbante, in cui l’erotismo non è mai separato da dinamiche di potere, controllo e dipendenza emotiva. È qui che prende forma lo stile che renderà il regista un punto di riferimento del thriller erotico hollywoodiano degli anni Ottanta e Novanta.

L’idea del film nasce dall’omonimo romanzo autobiografico di Elizabeth McNeill, pubblicato nel 1978, in cui l’autrice racconta una relazione intensa e destabilizzante vissuta con un uomo potente e manipolatorio. L’adattamento cinematografico conserva l’impianto intimista del testo, trasformandolo in un racconto visivo fortemente sensoriale, affidato al magnetismo di Kim Basinger e Mickey Rourke. Lyne accentua la dimensione psicologica della storia, concentrandosi meno sugli eventi e più sulla progressiva erosione dell’identità della protagonista, catturata in un rapporto che confonde piacere e annullamento.

Pur essendo spesso ricordato come un film erotico, 9 settimane e ½ si colloca più precisamente nell’ambito del thriller erotico, genere che usa la sessualità come strumento narrativo di tensione e conflitto. I temi del controllo, della sottomissione, della perdita di sé e del confine tra desiderio e abuso lo avvicinano a titoli come Attrazione fatale, Basic Instinct o il recente Babygirl. Come questi film, anche l’opera di Lyne interroga lo spettatore sulla seduzione del pericolo e sull’illusione di poter governare emozioni che, una volta liberate, diventano distruttive. Nel resto dell’articolo proporremo una spiegazione del finale del film.

Kim Basinger e Mickey Rourke in 9 settimane e ½
Kim Basinger e Mickey Rourke in 9 settimane e ½

La trama di 9 settimane e ½

Protagonista del film è Elizabeth McGraw (Kim Basinger), una giovane donna divorziata che lavora in una galleria d’arte, dove è spesso oggetto di prese in giro da parte dei colleghi per il suo aspetto avvenente. Una sera, in una rosticceria di Chinatown, la donna incontra John Gray (Mickey Rourke), un uomo molto affascinante di Wall Street. I due cominciano a frequentarsi e tra loro scoppia una forte attrazione, che li porta a intraprendere una relazione fatta esclusivamente di giochi erotici. Se all’inizio la donna è lusingata dalle attenzioni e dai costosi regali da parte di John, a un certo punto comincia a esserne soggiogata, piegandosi al potere dominante che lui esercita su di lei.

Nel loro rapporto Elizabeth regredisce quasi al punto di tornare ragazzina, finendo per disinteressarsi anche del lavoro in galleria. Il gioco perverso con l’affarista prosegue fino a un’inaspettata evoluzione: la donna si libera della se stessa seria e istituzionale e diventa istintiva, facendo finalmente l’amore con John. La loro relazione va avanti, alimentata da espedienti piccanti che portano Elizabeth a non avere più freni inibitori e anche in galleria sta perdendo la sua credibilità professionale. Tuttavia la donna non riesce a distaccarsi dall’amore malato che nutre nei confronti di John. La loro storia, però, giungerà presto a un amaro epilogo.

La spiegazione del finale del film

Nel terzo atto del film, la relazione tra Elizabeth e John raggiunge il suo punto di rottura definitivo, quando il gioco erotico di controllo si trasforma apertamente in umiliazione. La scena del denaro gettato a terra, con John che la costringe a strisciare, segna una frattura irreversibile: Elizabeth obbedisce, ma lo fa con rabbia e consapevolezza, ribellandosi subito dopo. Da quel momento, il desiderio non è più sufficiente a coprire il vuoto emotivo che si è creato, e la protagonista inizia a percepire con chiarezza la perdita di sé stessa all’interno del rapporto.

Il punto di non ritorno arriva nell’incontro al Chelsea Hotel, quando John introduce una terza persona senza prepararla davvero, spingendo Elizabeth oltre il limite che è disposta ad accettare. La fuga, il rifugio nel locale pornografico e il successivo ricongiungimento fisico non cancellano la frattura ormai aperta. Dopo il successo professionale della mostra di Farnsworth, Elizabeth passa un’ultima notte con John, ma al mattino la decisione è presa. Il film si chiude con il suo allontanamento dall’appartamento, mentre John tenta inutilmente di ripristinare il controllo con un’ultima conta simbolica.

Kim Basinger in 9 settimane e ½
Kim Basinger in 9 settimane e ½

Il finale porta a compimento il tema centrale del film: la confusione tra amore, desiderio e potere. Elizabeth comprende che la relazione con John non è mai stata paritaria, ma costruita su un equilibrio instabile in cui l’abbandono emotivo era il prezzo da pagare per l’intensità erotica. La sua uscita di scena non è una vittoria trionfale, bensì un atto doloroso di sopravvivenza, che implica rinunciare a una passione totalizzante per recuperare un’identità autonoma. Adrian Lyne evita qualsiasi catarsi consolatoria, sottolineando quanto sia difficile spezzare legami fondati sulla dipendenza.

La scelta di Elizabeth di non tornare indietro completa il percorso di consapevolezza del personaggio, che riconosce la natura finita e distruttiva della relazione fin dall’inizio. Quando afferma che tutto sarebbe terminato “quando uno dei due avesse detto stop”, riafferma il proprio diritto al limite, elemento sempre negato da John. Il suo pianto finale non contraddice la decisione presa, ma la rende più autentica: la libertà, suggerisce il film, non coincide con l’assenza di dolore, bensì con la possibilità di scegliere, anche quando farlo significa perdere qualcosa di profondamente seducente.

Ciò che 9 settimane e ½ lascia allo spettatore è una riflessione amara sul fascino dell’eccesso e sulla pericolosità di relazioni che trasformano il desiderio in dominio. Il film non demonizza l’erotismo né il gioco di ruolo, ma mette in guardia contro la rinuncia progressiva alla propria voce interiore. Il messaggio finale non riguarda la morale sessuale, bensì l’equilibrio emotivo: senza rispetto reciproco e confini condivisi, anche l’intimità più intensa può diventare una forma di annientamento, capace di sedurre proprio mentre distrugge.

Gianmaria Cataldo
Gianmaria Cataldo
Laureato con lode in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza e iscritto all’Ordine dei Giornalisti del Lazio come giornalista pubblicista. Dal 2018 collabora con Cinefilos.it, assumendo nel 2023 il ruolo di Caporedattore. È autore di saggi critici sul cinema pubblicati dalla casa editrice Bakemono Lab.
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