Presentato al Toronto International Film Festival e diretto da Isabel Coixet, Tre ciotole si chiude con un finale denso di significato, dove il percorso della protagonista, Marta (Alba Rohrwacher), raggiunge la piena consapevolezza di sé e del proprio corpo. La regista spagnola, adattando il romanzo di Michela Murgia, costruisce un epilogo che non parla di morte, ma di trasformazione e continuità.
L’accettazione della fine e la scelta del distacco
Dopo la diagnosi di tumore metastatico, Marta comprende che non può più aggrapparsi alla vita di prima. La malattia non è solo un evento biologico, ma un passaggio simbolico che la obbliga a rivedere il proprio modo di stare al mondo. Nel film, il gesto di fingere una partenza per un lungo viaggio diventa un atto di libertà: Marta sceglie di “uscire di scena” secondo le proprie regole, evitando di essere definita solo attraverso la malattia. È un modo per liberare sé stessa e chi le sta accanto, ribaltando la dinamica di passività che spesso accompagna la malattia terminale.
Il lascito di Marta e la memoria condivisa
Il salto temporale finale mostra la casa di Marta piena di persone care — familiari, amici, colleghi — che, seguendo le sue ultime volontà, prendono con sé un oggetto, un frammento della sua vita quotidiana. Questo gesto collettivo è il vero cuore del finale: la trasmissione del ricordo come forma di continuità. Nessun addio teatrale, ma un rito di passaggio intimo e comunitario, che rispecchia perfettamente la visione di Michela Murgia sulla famiglia scelta, come luogo affettivo costruito oltre i legami di sangue.
Il significato simbolico delle “tre ciotole”
Il titolo, ripreso dal romanzo, richiama una pratica di consapevolezza suggerita da un maestro zen: tenere tre ciotole sul tavolo, una per ciò che si ha, una per ciò che si dà e una per ciò che si accoglie. Nel finale, questa immagine diventa la chiave interpretativa dell’intera storia. Marta ha imparato a riempire le sue “ciotole” in equilibrio — accettando la perdita, donando affetto e ricevendo amore senza paura. La sua casa, riempita di persone che si scambiano ricordi, è la rappresentazione concreta di questo equilibrio raggiunto.
Un epilogo coerente con la poetica di Michela Murgia
Come nel libro, anche nel film il finale è una riflessione sulla vita dopo la vita, sulla possibilità di restare presenti negli altri attraverso i gesti e gli affetti condivisi. Isabel Coixet non cerca il melodramma, ma un tono di sobria gratitudine. L’ultima inquadratura — la luce che filtra tra gli oggetti di Marta — suggella la continuità tra materia e spirito, tra presenza e assenza. In questo senso, Tre ciotole è meno un racconto di morte e più un manifesto di vita, fedele allo sguardo lucido e compassionevole di Michela Murgia.