ari gold

Una storia di musica, d’amore e di memoria. Così Ari Gold, regista indipendente americano, definisce il suo ultimo film, The Song of Sway Lake, presentato in concorso alla XVI edizione dell’Ischia film Festival e che Variety considera trai titoli da tenere d’occhio nella stagione 2018/2019.

 

“Per certi versi il mio è un film sulla nostalgia e sul paradosso della bellezza che causa dolore.” Ha spiegato Gold, con i suoi modi rilassati, nonostante il fatto che con sole due ore di sonno si è costretto giù dal letto per esplorare il posto, mentre l’isola dorme. “The Song of Sway Lake è ambientato in un bel posto, come questo, e la musica è fondamentale. In America c’è questa grande cultura di musica jazz, che abbraccia più decenni. Queste musiche non sono più tanto famose, ma per alcune persone hanno la stessa influenza che nelle vite da tante persone hanno un bel posto o di un buon odore perché innescano ricordi reali e anche ricordi ancestrali, sensazioni. Quindi la ricerca di una canzone, nel film, diventa la ricerca di un ricordo e la musica del film è una combinazione di musiche del periodo che ho messo insieme alle canzoni originali scritte da mio fratello Ethan. La musica e le location sono state la parte più difficile del film, perché riflettono la personalità dei personaggi.”

Vorrei che raccontassi meglio il concetto della bellezza che causa dolore. Cosa intendi?

“È un concetto astratto solo perché le persone pensano che la bellezza sia piacere, ma la ricerca della bellezza, in particolar modo la bellezza ideale, o anche sessuale, o di un ricordo, causa dolore. Come mai? Questa ricerca ti fa tendere in una direzione che non è il tuo stato nel presente. Io medito, e sui social si vedono foto di persone che meditano in bei posti, foto bellissime al mare, ma è ridicolo per me. Perché se mediti puoi farlo ovunque, anche in mezzo alla spazzatura, riguarda soltanto l’essere presente, esattamente dove sei, non riguarda il mostrare dove sei. Se sei una persona realmente felice sei sempre nel presente. Ora parlo con te, non penso all’intervista che farò dopo, non penso a quella che ho fatto ieri, sono qui adesso con te. Se riesco a farlo tutto il giorno, sono felice, sempre. Tutti i miei personaggi sono bloccati nel passato, e il risultato è che sono tutti congelati, tutti sofferenti.”

Sei sempre nel tuo momento presente, ma fai film nella vita, e questi durano per sempre, o comunque più delle nostre vite. Perché fai film se sei proiettato solo nel presente?

“Non credo di farli per una specie di illusione di immortalità. È bello immaginare che altre persone vedranno i miei film anche quando non ci sarò più. Sono un regista indipendente, i miei film non sono visti da così tante persone, quindi posso fantasticare che in futuro magari lo saranno. In realtà, faccio film per comunicare con le persone adesso. Viviamo in un momento in cui il sentire non è incoraggiato. Nella struttura cassica del cinema hollywoodiano l’eroe è destinato a vincere, e questo approccio riflette molto la situazione politica attuale, quella del mio Paese, ma anche quella del tuo Paese.”

E poi continua: “Le storie che raccontiamo diventano i sogni della nostra cultura e quindi io faccio film per insegnare a sentire, in opposizione ai film che insegnano a vincere. Per me è una specie di atto politico, nonostante si tratti di una storia che parla di musica e amore. Per me è questo l’obbiettivo.”

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