Alla decima edizione della Festa del Cinema di Roma arriva una strana coppia: il regista Wes Anderson e la scrittrice Premio Pulitzer per Il Cardellino, nel 2014, Donna Tartt.

 

Ma l’accoppiata non è l’unica cosa atipica di questo incontro. Ai due viene infatti chiesto di parlare del cinema italiano attraverso 4 pellicole scelte dalla scrittrice. Le clip si aprono con Medea (1970) di Pier Paolo Pasolini, un film – dice la scrittrice – con un ritmo lento, discontinuo, non molto accessibile a chi non abbia familiarità col teso. Eppure Pasolini ci permette di coglierne l’essenza, la brutalità e la violenza di quel mondo. Nessun’altra opera del XX secolo è riuscita così bene in questa. Amo il suo ritmo ipnotico e ritualistico.

La seconda clip è tratta da La Notte (1961) di Michelangelo Antonioni, una scena che, per una curiosa coincidenza è stata scelta ieri da Paolo Sorrentino (qui la storia). Del film di Antonioni, Donna Tartt dice di aver apprezzato il modo magistrale di raccontare la solitudine. È pieno di scene meravigliose e conturbante. La notte è una presenza spaventosa ed è incredibile la scena in cui Mastroianni e Jeanne Moreau escono finalmente alla luce. Fuori è giorno, ma loro non riescono a togliersi di dosso la notte, sembrano un quadro di Piero della Francesca.

Wes Anderson ricorda che il primo film di Antonioni che ha visto è stato L’Avventura, che l’ha subito colpito, ancor più di Fellini, per lo stile così personale dell’autore, di rottura rispetto a ciò che c’era stato nel cinema italiano prima di lui.

Il terzo frammento è tratto da La signora di tutti (1934) di Max Ophuls, un film tutto italiano, eccezion fatta per il regista. La Tartt parla della struttura narrativa di quest’opera, radicale per il cinema di allora e cita Kubrick, che di Ophuls diceva che riusciva ad attraversare i muri con la macchina da presa. Parla poi anche del contenuto della pellicola, sempre attuale: una donna ha tentato di uccidersi, ma a nessuno importa, purché lo spettacolo vada avanti. La quarta e ultima scena scelta dalla Tartt è tratta da La Grande Bellezza (2013) di Paolo Sorrentino.

Wes Anderson e Donna Tartt 2Un film che trascina, conquista, con personaggi profondi è complicati, momenti divertenti e di spiritualità. E alla domanda di Antonio Monda, che gli fa presente della divisione di critica che ha accolto il film di Sorrentino in Italia, avanza l’ipotesi che la differenza culturale nell’approccio cinematografico tra gli americani e gli italiani sta nel fatto che i primi sono cresciuti con Hollywood, dove lo spettacolo puro va bene e un film non deve necessariamente avere un contenuto politico per essere goduto.
Anche Wes Anderson concorda con il fatto che il film di Sorrentino sia un capolavoro, lo considera strettamente legato a La Dolce Vita ed è particolarmente impressionato dall’espressività del volto si Toni Servillo.

Martin Scorsese ha fatto il suo nome, Wes Anderson, designandolo come suo erede. Come si sente a riguardo?

WA: Credo che l’abbia detto molti anni fa, non so se lo pensa ancora oggi. E poi lo ha fatto nel contesto di un’intervista in cui era obbligato a fare un nome, non è che se ne sia uscito così spontaneamente. Ma naturalmente ne sono onorato e mi sono sentito ispirato da lui: Scorsese è uno dei motivi per cui faccio questo lavoro.

Ha mai pensato di girare un horror o un film di Natale?

In effetti sì, anche perché se fai una canzone o un film di Natale potresti avere molto successo, poiché verrebbe riproposto di anno in anno. Tuttavia credo di non esserci mai riuscito perché mi vedrei costretto a rispettare delle regole, che è una sfida interessante, ma per me dura: è raro che io sappia se quello che sto per mettere in scena sia buffo o triste.

Infine, Wes Anderson sceglie per il pubblico della festa il suo film italiano preferito. Si tratta de L’oro di Napoli (1954) di Vittorio De Sica.

Dice di aver scoperto il film due anni prima e che, da quel momento, ne ha parlato con chiunque gli capitasse a tiro. Uno dei motivi per cui l’ha colpito così tanto è la sua attrazione verso la struttura di film a episodi sconnessi tra di loro, come fossero una sorta di raccolta di racconti. Si sofferma poi sulla figura di Totò, che definisce il Buster Keaton italiano.

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