Festa di Roma 2016, David Mamet: “Non bisogna mai sfidare il fato ma cercare sempre la Verità”

Sette film. Sette brevi sequenze per riassumere l’incredibile carriera di David Mamet, “rockwriter” (se così possiamo definirlo con un neologismo), un uomo che ha trasformato la scrittura (per il cinema, la tv o il teatro) diventando a sua volta un personaggio in grado di calamitare l’attenzione degli spettatori grazie al magnetismo, l’ironia, la conversazione brillante e ad un atteggiamento sempre all’insegna del politicamente scorretto.  Protagonista di un recente Incontro Ravvicinato  alla Festa di Roma 2016, ha ripercorso la propria carriera da autore e regista tramite “sette pezzi facili”, commentandoli e arricchendoli con aneddoti ad essi legati.

 

Le prime quattro clip erano tratte da film che ha scritto e diretto: in ordine, ad aprire le danze è stato Phil Spector. Riguardo a tale film tv targato HBO e con protagonisti Al Pacino ed Helen Mirren, Mamet ha approfondito il suo rapporto – da autore – con il biopic e con la scrittura di un personaggio realmente esistito: cosa lo rende affascinante ai suoi occhi?

Condannato per assassinio e ancora in carcere, il film della HBO analizza il rapporto tra il noto produttore discografico e il suo avvocato che non crede alla sua colpevolezza: così, per il ruolo del primo la scelta era ricaduta su Pacino che, come Mamet, non ha voluto approfondire il legame con il “vero” Spector. Da sceneggiatore, il Premio Pulitzer ha preferito solo intrattenere con il discografico un carteggio dal carcere; da attore, invece, il premio Oscar ha preferito creare un personaggio vicino allo Spector di quei tempi e lontano dall’ombra di oggi. Per il ruolo dell’avvocato, invece, racconta Mamet come incontrarono alcune difficoltà con il casting: la prima scelta fu Bette Midler (costretta a rinunciare per problemi di salute) così riuscirono a convincere la Mirren (chi si è ritirata a vivere in Italia) persuadendola ad accettare.

La curiosità più grande che ha spinto David Mamet ad approcciarsi ad un personaggio realmente esistito è legata al suo potenziale: per scrivere un biopic – confessa – non bisogna seguire qualche strana poetica, bisogna limitarsi ad osservare: non ci sono delle caratteristiche specifiche da seguire, l’importante è descrivere le persone e catturare la fonte della nostra attenzione verso di loro.

david mametLa seconda clip è tratta dal film Spartan, che vede protagonisti Val Kilmer e Kristen Bell, e il noto drammaturgo ha riflettuto – ovviamente condendo il tutto con vari aneddoti divertenti – il suo rapporto con alcuni attori: dalla Bell conosciuta sul set del programma tv Funny or Die e poi provinata e scelta per il suo film, passando per Danny DeVito, suo grande amico, anch’egli pronto a prestarsi a scherzi e situazioni imbarazzanti d’ogni tipo nate sui set, fino a Gene Hackman: protagonista accanto a DeVito di The Heist, l’attore ha un carattere difficile che, però, sembra aver messo da parte per lavorare con Mamet e godersi, nel miglior modo possibile, l’esperienza sul set; e proprio quest’ultimo film, The Heist, è il protagonista della terza clip, ricca di adrenalina e tensione ma povera di dialoghi. A tal proposito, viene rivolta a Mamet una domanda provocatoria: preferisce ricoprire il ruolo di regista o di sceneggiatore/drammaturgo?

Per il diretto interessato entrambi sono interessanti: scrivere un dialogo è un’arte difficile nella quale solo pochi riescono ad eccellere. Nel cinema, al contrario che nella tv, è più importante ciò che viene mostrato piuttosto che ciò che viene detto. Bisogna quindi imparare a procedere con una scrittura per immagini piuttosto che a parole, come ha cercato di fare anche lui con The Heist, che rappresentava una vera sfida: non sapeva girare, figuriamoci un film d’azione. Ma solo guardando i film di Sam Peckinpah è risucito a trovare le risposte che cercava. Creare un’inquadratura, immortalare un fotografa, non è solo un onere del regista: il risultato finale si ottiene grazie all’esperienza e alla bravura del direttore della fotografia e degli attori, anche se la sfida più grande rimane sempre quella in sala di montaggio, che si trasforma spesso in una vera e propria corsa contro il tempo.

L’ultima clip da regista e sceneggiatore mostra Hollywood, Vermont: una commedia su Hollywood e i suoi meccanismi, che fa nascere una domanda: in questo gioco di rimandi, quanto spazio è lasciato all’improvvisazione degli attori e quanto alla scrittura?

Mamet, ridendo, risponde dicendo che « Se sei un grande chef, non puoi dire ai camerieri che servono ai tavoli di cambiare, a loro piacimento, le portate prima di servirle» ovvero: nel suo modo unico e politicamente scorretto, conferma che non si lascia mai niente al caso e che il concetto di improvvisazione è abolito; del resto, dopo cinquant’anni di cinema, teatro, tv e con attori importanti e noti, nessuno si è mai concesso la libertà di improvvisare qualcosa variando “sul tema”, anche perché scrivere è il suo mestiere, e non il loro.

Sempre a proposito di ispirazioni e modelli  nel suo mestiere, viene chiesto al drammaturgo se è vero che Harold Pinter è stato il suo punto di riferimento a teatro: secondo David Mamet, la drammaturgia non si può insegnare nelle scuole. Per studiarla, bisogna partire da un’ottima fonte d’ispirazione: nel momento in cui si scopre che qualcun altro, prima di noi, ha già fatto qualcosa di molto buono, bisogna superarla subito (o, almeno, provarci). Per tale motivo Pinter ha rappresentato, per lui, una vera e propria guida.

Nella seconda parte si approfondisce il Mamet “semplice” sceneggiatore, e il primo film della lista è Gli Intoccabili di Brian De Palma. Dopo aver confessato di aver scritto una sceneggiatura su Malcom X circa 10-15 anni prima che Spike Lee girasse il suo film, Mamet si perde nel flusso degli aneddoti e dei ricordi: racconta del suo nuovo romanzo ambientati a Chicago e con protagonisti numerosi gangsters, come pure di Sean Connery e di quando “rischiò” di finire in un film scritto dal drammaturgo e nel quale avrebbe dovuto recitare anche il nostro Nino Manfredi: solo che alla fine l’assistente dell’attore italiano chiese di poter apportare alcune correzioni al personaggio di Manfredi, Mamet si rifiutò e, alla fine, la collaborazione sfumò del tutto. Un piccolo appunto che il drammaturgo/scrittore fa a De Palma, regista de Gli Intoccabili, riguarda la famosa scena della carrozzina “rubata” (palesemente) a S. Ejzenstejn.

La penultima clip dà spazio ad una delle sue sceneggiature ritenute un capolavoro: si tratta del film Il Verdetto, diretto da Sidney Lumet (suo grande amico) e che vede protagonista Paul Newman nei panni di un avvocato e che, in un primo momento, avrebbe dovuto/voluto scrivere la sceneggiatura del film ispirandosi ad un vero fatto di cronaca accaduto in un ospedale di Boston. Prima di quel film David Mamet aveva realizzato ben 25 sceneggiature rifiutate, finché non scrisse questa per un progetto che coinvolgeva – in un primo momento – Lumet e l’attore Robert Redford mentre un’altra persona doveva scrivere la sceneggiatura completa e definitiva. Ma alla fine persero due pezzi fondamentali del puzzle e Lumet si ritrovò in “cabina di regia”: così anche Mamet, suo amico, si “imbarcò” nel progetto. Piccola curiosità: all’inizio il suo script non prevedeva la presenza di un verdetto; ma alla fine ripensò alle parole di Alfred Hitchcock (parafrasando: se si ambienta un film a Parigi, bisogna mostrare prima o poi la Torre Eiffel) e così lo inserì nello script definitivo.

L’ultimo film esemplificativo della ricca carriera di Mamet non poteva non essere Americani: oltre a raccontare che il ruolo di Alec Baldwin è stato aggiunto appositamente per lui e per il film (e quindi non era previsto nella versione originale), evoca di nuovo le premesse che hanno portato alla nascita di questo capolavoro della drammaturgia: all’epoca lavorava a Chicago in un’agenzia immobiliare, e aveva raccolto un ampio spaccato di una variegata umanità.  Quando, tempo dopo, si ritrovò ad insegnare recitazione nel Vermont, un college propose di portare in scena una sua opera, e la scelta ricadde su Americani (che nel frattempo aveva scritto): così nacque questo capolavoro.

Un’ultima riflessione prima di concludere l’incontro riguarda il rapporto tra il drammaturgo e la politica, o almeno il “politicamente corretto”: ha cercato tutta una vita di rincorrere il desiderio di liberarsi, definitivamente, di questa convenzione  sociale, anche a costo di mettersi nei guai. Racconta che da ragazzo non aveva nessun talento, e rischiava di passare il tempo rincorrendo lavori poco qualificati oppure cacciandosi nei guai e finendo in prigione: a salvarlo è stata la passione per la scrittura, prima di scoprire di riuscirci e di avere anche un discreto successo. La vita gli ha insegnato che non bisogna mai sfidare il Fato  e che la Verità è fondamentale. In fin dei conti la drammaturgia parla e crea la menzogna, il disequilibrio; solo quando viene svelata la Verità allora si ristabilisce uno status quo. Solo attraverso quest’ultima ci si può veramente liberare, riconfermando il potere del teatro e il suo ruolo sociale.

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Ludovica Ottaviani
Ex bambina prodigio come Shirley Temple, col tempo si è guastata con la crescita e ha perso i boccoli biondi, sostituiti dall'immancabile pixie/ bob alternativo castano rossiccio. Ventiquattro anni, di cui una decina abbondanti passati a scrivere e ad imbrattare sudate carte. Collabora felicemente con Cinefilos.it dal 2011, facendo ciò che ama di più: parlare di cinema e assistere ai buffet delle anteprime. Passa senza sosta dal cinema, al teatro, alla narrativa. Logorroica, cinica ed ironica, continuerà a fare danni, almeno finché non si ritirerà su uno sperduto atollo della Florida a pescare aragoste, bere rum e fumare sigari come Hemingway, magari in compagnia di Michael Fassbender e Jake Gyllenhaal.