Ivano De Matteo, durante la conferenza stampa tenutasi presso il cinema Eden di Roma, ha illustrato le ragioni per le quali ha intrapreso l’avventura de Gli Equilibristi e le sue scelte sul cast e le sue ricerche di preparazione.
Il titolo del film è una chiara allusione alla capacità di un ceto sociale, quello dei separati, di rimanere in equilibrio economicamente nonostante le numerose pressioni finanziarie. L’opera esplicita al meglio la precarietà che ci circonda e mette in risalto la fragilità di una società che al minimo dissesto perde totalmente l’equilibrio. Il regista afferma: “Ho voluto raccontare questo: l’effetto domino che la crisi economica può causare anche per quello che riguarda gli affetti familiari”, e ha proseguito dicendo “Il confine tra benessere e povertà è più sottile di quanto ognuno possa pensare, e la separazione è solo uno dei tanti punti di partenza che può portare la gente alla rovina.”
Ivano riflette a lungo sulla condizione odierna della società, mettendo in evidenza quanto il finto luccichio e il patinato che aveva illuso la borghesia nascente degli anni ‘80 si è improvvisamente tramutato in stridore di denti e lacrime. La falsa ricchezza che ci era stata promessa, che aveva illuso i nostri genitori ha presentato il suo conto in questo momento storico, abbattendolo con forza e prepotenza su una generazione che non è in grado di rispondere nel giusto modo. Questa storia nasce nella mente del regista qualche anno fa, mentre girava “La Bella Gente”, spronato dall’analisi sociale portata avanti in un articiolo di un settimanale italiano.
Tramite la figura di Giulio, interpretato da Valerio Mastandrea, Ivano De Matteo rappresenta il ceto medio, quel ceto medio che in passato aveva goduto di sfavillanti illusioni e ora è piombato in una dura realtà. Gente comune che ci circonda, esprime Ivano, i nostri vicini di casa, il macellaio, il meccanico, che per destino o sbaglio si ritrovano infossati in un limbo. Loro sono gli equilibristi, che arrancano economicamente, cercano di tappare ogni buco senza ricevere alcun sussidio perché ritenuti troppo ricchi dallo Stato ma abbastanza poveri da arrivare alla totale distruzione.
Ivano, grazie all’aiuto da parte della Comunità di Sant’Egidio e ad approfonditi studi su casi specifici, ha ricostruito la sventura di un padre, le cui problematiche sono generate dalla separazione. Da qui, è anche il concetto moderno di famiglia ad essere stato messo sotto esame: la libertà e l’uguaglianza di oggi all’interno della coppia e la forte responsabilità e dignità da parte del protagonista di non cadere in facili risoluzioni ed adempiere bene i suoi doveri.
La rovina assoluta si manifesta con l’allontanamento spontaneo di Giulio dal suo nucleo familiare, inteso come recisione di ogni contatto civile con la sua ex moglie e di affetto con i figli, pur di riuscire a far fronte ai doveri di padre e di ex marito.
L’aspetto drammatico è affiancato a quel pizzico di ironia, espresso magicamente da Valerio Mastandrea, e necessario per mettere meglio a fuoco il reale e capirne a fondo il senso. Ivano De Matteo, afferma, che per la scelta del protagonista era alla ricerca di un Pierrot, giocoso e goliardico per alcuni versi, ma con la lacrima sul viso indelebile. Questo senso di indeterminazione e ambiguità salta fuori alla perfezione nella scena di chiusura, in cui lo sguardo fisso di Giulio distratto da un lieve sorriso sarebbe la prova che la sua ruota, incastrata, è ricominciata a girare. O forse no.