High & Low: John Galliano, parla il regista del film Kevin MacDonald

High & Low: John Galliano

Per quasi 20 anni, John Galliano è stato il più influente fashion designer al mondo, prima di essere raggiunto dai propri demoni e perdere tutto. Licenziato da Dior, ostracizzato dall’intera industria della moda, abbandonato da tutti, per lui sembrava fosse arrivata la fine. Cosa è successo? Lo racconta Kevin MacDonald (The Mauritanian) in High & Low: John Galliano. Abbiamo raggiunto il regista alla Festa di Roma, e con lui abbiamo parlato del film documentario presentato alla manifestazione nella sezione Special Screenings.

 

Come mai ha scelto di raccontare la storia di John Galliano?

Stavo cercando un modo per fare un film sul perdono e sulla cancel culture, perché mi sembrano argomenti molto importanti per la contemporaneità. Molte persone, per un motivo o per l’altro, negli ultimi tempi, hanno subito una cancellazione. E mi sono chiesto cosa è accaduto a queste persone, se hanno trovato il perdono. E così qualcuno mi ha suggerito di parlare con John Galliano, così l’ho raggiunto e ne abbiamo parlato. Lui aveva intenzione di fare il film, ma non era sicuro che volesse proprio me per realizzarlo. Quindi ho passato diversi anni a intessere un rapporto con lui, a parlargli, e soltanto alla fine lui ha accettato, così sono andato da lui per intervistarlo e scoprire se riusciva ad essere onesto, ma anche interessante e carismatico, e ho pensato che lo fosse molto. E proprio in quel momento abbiamo ottenuto i fondi dal distributore francese.

Come ha collaborato con Galliano?

Lui è stato sempre incredibilmente generoso con il suo tempo, mi ha dato tutto il tempo di cui avevo bisogno. Ho girato l’intervista in 6 giorni e poi si è fatto seguire per due settimane, mentre faceva le sue cose. Lui non ha mai avuto il controllo del film e io ho avuto l’ultima parola sul montaggio finale, si è dovuto fidare di me, del fatto che io facessi un film che fosse onesto. Mi ricordo che quando gli ho mostrato il film la prima volta ero molto nervoso per quello che avrebbe potuto dire. Ma lui venne da me in lacrime, era profondamente turbato, ma non mi ha rivolto nessuna critica, non ha provato in alcun modo a farmi cambiare il film. Mi disse: “Non è il mio lavoro fare film, è il tuo, tu sei il regista. Non ti lascerei mai dirmi come disegnare i miei vestiti, quindi non ti dirò come fare il film”. E non ha mai neanche provato di manipolare il prodotto finale.

Sia la moda che l’arte sono due espressioni artistiche. Mentre realizzavi questo film, ha mai riflettuto sul fatto che stava usando una forma d’arte per raccontarne un’altra?

Sì, certo. Una delle cose interessanti di John in quanto stilista, è che molte delle sue influenze sono cinematografiche. Ecco perché nel film uso molte clip di altri film, in particolare di Napoleon di Abel Gance, che racconta una parabola molto simile a quella della storia che ho proposto io nel documentario. John ha sempre detto che le immagini e i sentimenti del cinema sono la principale ispirazione per il suo lavoro.

Galliano parla di impulso creativo urgente, riguardo alla moda. Può dire lo stesso del cinema, per lei?

Credo di non avere la disperata esigenza fisica di fare film come lui ce l’ha di creare abiti. Credo che invece per me il cinema sia un modo di comprendere il mondo, ponendo domande incontrando persone da parti diverse del mondo e con abitudini diverse, in particolare per quanto riguarda i miei film documentari. Per me l’arte è un mezzo verso la conoscenza, per John Galliano è qualcosa che semplicemente sente il bisogno di fare.

Sapeva già quale vip o personaggio famoso avrebbe contattato all’inizio della lavorazione per testimoniare? C’è qualcuno che ha detto di no per via di quello che Galliano aveva fatto?

Ci sono state alcune persone che non hanno voluto partecipare al film, ma non dirò i loro nomi. Per alcune di queste persone, la scelta è stata fatta da agenti o agenzie, perché pensavano che sarebbe stato rischioso per loro esporsi, dato quello che era successo con Galliano. Sono stato molto più sorpreso dal fatto che molte delle persone a cui abbiamo chiesto non vedevano l’ora di partecipare, e credo che fosse così perché provano un vero affetto per John, e quindi per loro valeva la pena correre il rischio. Persone come Naomi Campbell, Kate Moss o Charlize Theron, hanno partecipato davvero come atto d’amore e amicizia verso di lui.

Secondo lei, come mai spesso un grande artista è turbolento e preda di dipendenze?

Credo che questa sia una domanda troppo grande a cui dare una risposta. Credo che abbia a che fare con il fatto che spesso i grandi artisti sono persone con un tormento psicologico, che possa essere un trauma o un’esperienza particolare. E spesso l’arte è un mezzo per affrontare e superare questi irrisolti. Inoltre, gli artisti amano scuotere il pubblico, ma quello che mi preoccupa del mondo contemporaneo, è che gli artisti adesso hanno timore a scuotere e scioccare il pubblico perché non sanno a cosa porteranno le loro scelte. Alcune scelte potrebbero anche porre fine alla loro carriera. Non sto suggerendo che John Galliano abbia fatto i suoi commenti antisemiti per scioccare, ma credo che nel corso della sua carriera abbia puntato molto sull’aspetto della sorpresa.

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