E’ una Jessica Hausner allegra e loquace quella che si presenta
alla Casa del Cinema in Roma forte anche delle critiche molto
positive che sta ricevendo il suo “Lourdes” in giro per il
mondo.
Ad accompagnarla, il Presidente nazionale dell’Unitalsi Antonio
Diella e il distributore e amministratore delegato di Cinecittà
Luce Luciano Sovena.
D: Come ha scoperto Lourdes nella sua vita?
R: Io ho sentito parlare per la prima volta di Lourdes proprio per
questo film perchè volevo fare un film su un miracolo, ho fatto
molte ricerche e ho letto diverse storie su luoghi dove accadono
miracoli, ho visto che qui è un po’ un “hot spot” un luogo dove
realmente avvengono miracoli e sono anche analizzate a livello
ufficiale e medico e quindi in questa occasione mi sono più
avvicinata a Lourdes.
D: Questo film è anche una riflessione sulla malattia che in
qualche modo viene anche rimossa dalla società odierna, come mai le
è interessato parlare di questo argomento aldilà del miracolo?
R: In questo caso sia la malattia che il miracolo sono intesi a
livello metaforico, ma volevo presentare qualcosa che avesse a che
fare con l’anima e quindi con la vita stessa con i limiti che ci
pone la vita. Le limitazioni che abbiamo sono un fattore molto
umano, non possiamo avere tutto quindi ci troviamo in una
situazione limitata e penso che la protagonista sia il simbolo di
tutto questo ed il miracolo rappresenta il forte desiderio di
liberarsi da queste catene per vivere la vita in pieno.
D: Cosa ne pensa del fenomeno dei miracoli?
R: Ho fatto diverse ricerche, io stessa mi sono chiesta cos’è
questa cosa che si va a Lourdes e spesso si è guariti, ma esiste un
ufficio medico che li analizza e ci sono stati effettivamente casi
che non si possono spiegare. Io non volevo far capire che se c’è un
miracolo allora Dio è buono anzi io penso sia proprio il contrario,
che sia una cosa arbitraria.
D: Come mai ha inserito molte canzoni italiane nel film?
R: Ci sono tanti italiani che vanno a Lourdes e quindi succede che
alle feste di addio ci siano molte canzoni del vostro paese, le ho
scelte quindi per ricreare delle situazioni realistiche e poi
ovviamente “Felicità” l’ho scelta proprio per il suo contenuto.
D: L’ultima scena rappresenta una consapevolezza della
protagonista nonostante non sia più sicura della sua
condizione?
R: Non è tanto importante se è guarita o meno ma lo è questa presa
di coscienza, la consapevolezza sulla transitorietà della vita.
D: Cosa ne pensa del potere da sempre dato in molte culture
all’acqua alle sue presunte abilità curative visto anche il suo
viaggio a Lourdes?
R: Ho scelto proprio questo tema perché non c’è solo una risposta
al miracolo, ci può essere l’auto suggestione, la forza psichica o
collettiva, la cosa che mi colpisce è che tali eventi avvengono
anche in altri luoghi come gli ospedali e la medicina ancora non ha
risposte per queste cose.
Quello che mi interessava raccontare era la casualità della
guarigione visto che la protagonista non è molto credente ma è
proprio lei a essere convinta della guarigione ed è proprio questo
il centro del racconto.
D: Lei cita nelle interviste Dreyer e Tati come suoi numi
tutelari per l’umorismo e la messa in scena ma ho pensato anche al
Buñuel degli anni 60/70, considera anche lui un riferimento
legittimo?
R: Sì mi sono sempre molto ispirata a lui, quando da giovane ho
visto i suoi film ho pensato che anche a me sarebbe piaciuta essere
una regista un giorno, mi piaceva questo suo modo di girare, con
questo suo umore particolare, questo modo di presentare l’aspetto
bigotto delle persone.
D: Mi è piaciuta molto l’attrice protagonista Sylvie Testud,
volevo sapere come l’aveva scelta e se l’attrice ha contribuito
alla costruzione del personaggio.
R: Durante il nostro primo incontro abbiamo parlato anche della
sceneggiatura e durante le prime prove ho capito subito che lei era
molto adatta perchè ha un senso dell’umorismo, un’autoironia e un
certo pragmatismo. Era quello che cercavo per il film, non avevo
bisogno di una che facesse la sofferente sulla sedia a rotelle e
lei è stata molto brava in questo.
Io e Sylvie abbiamo parlato con molte donne malate di sclerosi
multipla per capire come si sentano, abbiamo voluto fare un passo
avanti in questo senso, per lei era importante capire cosa
significa essere paralizzati ed essere sempre dipendenti da altri
che crea anche una certa tensione nella malata che quindi diventa
quasi un bambino che ha sempre bisogno di attenzioni.
D: E’ stato difficile convincere le autorità a girare a Lourdes?
E la convivenza è stata facile?
R: Sono andata 2-3 volte con i gruppi di pellegrinaggio per
conoscere il luogo anche perchè non ero ancora sicura di girare o
meno questo film, l’ufficio stampa di Lourdes dopo le mie continue
visite mi conosceva e quindi si è creato un rapporto di fiducia tra
di noi.
Il problema maggiore era di logistica in quanto a me servivano
alcuni luoghi in maniera esclusiva e le grotte e la chiesa
sotterranea sono sempre piene di pellegrini e dovevamo trovare dei
momenti solo per noi della troupe per girare.
Per quanto riguarda invece i contenuti del film non c’è stato alcun
controllo , ho parlato solo una volta col vescovo di Lourdes ma non
c’è mai stato nessun controllo sui contenuti della
sceneggiatura.
D: Quali sono i suoi progetti futuri?
R: Sto già pensando al mio prossimo film, dovrebbe essere una
storia d’amore antica, una storia tragica comunque, ma per adesso
non posso svelare maggiori dettagli perchè sono ancora ad una fase
di ricerche iniziali.