Divertente, sornione e dal sorriso luminoso quanto
contagioso; è stato Robin Hood, una guardia del corpo innamorato
della sua “protetta”, un criminale in fuga, un giovane pronto a
scappare dal proprio destino, un giocatore di baseball e un
ufficiale dell’esercito unionista alle prese con gli indiani: ma
oggi, per la stampa italiana, si è presentato semplicemente come
Kevin Costner. L’attore era a Roma per presentare
in tarda mattinata il suo ultimo film,
Criminal, insieme al regista
Ariel Vromen; la pellicola uscirà il prossimo 13
Aprile nelle sale italiane in oltre 300 copie e sarà distribuito
dalla Notorious Pictures, che lo
considera uno dei film di punta del proprio listino, come conferma
il CEO Guglielmo Marchetti.
La presenza di Costner calamita subito l’attenzione della stampa che comincia a rivolgergli delle domande: la prima, riguarda il suo approccio al personaggio.
Secondo l’attore, i film insegnano tanto e tramandano emozioni e contenuti di generazione in generazione. Proprio per tale ragione, il suo intento è sempre quello di plasmare dei personaggi indimenticabili, proprio come accaduto in Criminal. Un aspetto interessante del personaggio, può essere proprio rintracciato nella sua “scoperta” delle emozioni? E la scienza, a tal proposito, si deve porre dei limiti?
Per Costner i limiti sono giusti e andrebbero sempre posti (“perfino quando si beve”, aggiunge lui ridendo); per quanto riguarda il tema della memoria, invece, la semplice idea di non ricordare più niente all’improvviso e di perdere completamente i suoi ricordi lo terrorizza completamente. “I ricordi” – aggiunge l’attore – “sono per noi come un cuscino” sui quali adagiarsi dopo le fatiche di ogni giornata. È stato il regista Vromen – al quale passa la parola – a persuaderlo ad accettare il ruolo di Jericho Stewart, pericoloso galeotto nel quale vengono “impiantati” i ricordi di un defunto agente della CIA.
Ariel Vromen si
dichiara affascinato, da sempre, dal concetto legato al
trasferimento dei ricordi, con la possibilità di acquisire di
conseguenza quelli di qualcun altro; molti studi si sono
concentrati sulla possibilità di cancellare i ricordi “cattivi” e
di trasferire la memoria da un animale ad un altro. In
Criminal quelli che si trasmettono da un
uomo ad un altro sono i ricordi emotivi, legati ai sentimenti che
Jericho non ha mai provato. “Noi siamo quelli che siamo per via di
ciò che ricordiamo”, aggiunge il regista. A Costner viene chiesto
se c’è qualcosa che, in effetti, vorrebbe dimenticare/ cancellare
davvero anche nella realtà: a questa domanda, l’attore risponde che
non cancellerebbe mai il ricordo di un errore, perché essi sono
parte integrante del tessuto della sua personalità, lo
costituiscono in quanto persona ed è da quest’ultimi che si lascia
“ispirare” per non commetterne più in futuro. La difficoltà più
grande, nella vita di tutti i giorni, è avere la forza di mostrare
a chi amiamo (e ci ama) il nostro “lato peggiore”, perché abbiamo
paura in tal modo di perdere i nostri affetti. Non è un caso,
infatti, se all’inizio l’attore fosse reticente all’idea di
interpretare questo ruolo – così “cattivo”, disallineato rispetto
alla sua carriera – nel film di Vromen, che evidentemente invece ha
visto un lato criminale latente in lui.
A replicare è proprio Vromen: impossibile, non c’è niente di criminale o di inquietante in Costner, che anzi ha un lato decisamente “angelico”; trova interessante e stimolante spingere un attore – visto dal “suo” pubblico sempre sotto la stessa veste – ben oltre i propri limiti, “infrangendo” i confini della “safe zone” nella quale vive e lavora. Il regista aveva già visto Costner in un ruolo simile a quello di Jericho quando interpretò, dietro la sapiente mano di Clint Eastwood, Un mondo perfetto.
Nel film uno dei personaggi chiave (interpretato da Tommy Lee Jones) esclama “senza emozioni la vita non avrebbe nessun senso”: lo pensano anche loro due? E se invece si potessero sottoporre ad un procedimento simile a quello mostrato nel film, i ricordi di chi vorrebbero?
Kevin Costner ammette che vorrebbe quella di sua moglie se potesse: perché sa bene come, certe volte, lei si sforzi di capirlo, cercando di decifrare le sue azioni; al contrario Vromen, non avendo una moglie, confessa di desiderare i ricordi di un genio cinefilo tutto italiano, come Federico Fellini.
Un’altra domanda, rivolta sempre al regista della pellicola, sottolinea come il cinema sia molto attratto (da sempre) dagli smemorati, dagli esperimenti scientifici sulla mente umana e dalle frontiere etiche della scienza stessa: a chi si è ispirato nella realizzazione del film, e quali difficoltà ha incontrato?
Vromen confessa che, per affrontare una sceneggiatura così complessa, si doveva per forza ispirare a qualche lavoro precedente; la scelta è ricaduta così su pellicole dal forte sapore seventies come quelle firmate da Alan J. Pakula, William Friedkin, Sidney Lumet ed altri. Anche loro avevano scelto di confrontarsi con argomenti complessi, personaggi sfaccettati ed articolati; in questi casi, la cosa più importante è restare classicamente ancorati al personaggio, che permette così di restare legati ad una storia solida creando un viaggio significativo, soprattutto per lo spettatore. Prima di passare all’ultima, “imponente”, domanda, c’è tutto il tempo per un siparietto improvvisato da Costner sotto gli occhi della stampa, divertita ed in delirio: la star hollywoodiana confessa che la trasformazione avvenuta nel film, e la possibilità di potersi calare nel ruolo di Jericho fino in fondo, è solo merito di Mario, il suo fidato make-up artist ed hair stylist che lo segue ovunque su ogni set. Solo grazie al suo sapiente lavoro è riuscito, finalmente (e definitivamente) a perdersi nel personaggio, concentrandosi anche su un attento studio della voce del galeotto e seguendo le indicazioni di Vromen.
L’ultima domanda prima di congedare la star e il “suo” regista riguarda una riflessione più profonda sul terrorismo, sui pericoli che tutti noi stiamo correndo in questo periodo così difficile e travagliato: Costner si definisce arrabbiato e basito di fronte ad un mondo in rapido cambiamento ma preda della confusione totale, mentre il regista riflette sull’inquietante similitudine tra arte e vita, visto che nel film si parla di cyber terrorismo e, a pochi giorni di distanza dall’inizio delle riprese, si sono verificati due episodi significativi come il “Sony Leaks” e un attacco – da parte di hacker – al Pentagono: la finzione ha superato la realtà, mostrando tutta la nostra debolezza e fragilità.