Mia Hansen Løve presenta Un amore di Gioventù

Quello che colpisce nell’ascoltare la giovanissima regista francese Mia Hansen Løve alla presentazione del suo terzo film Un amore di Gioventù, è la piena consapevolezza espressiva del mezzo a  disposizione, insieme alla capacità di fare e analizzare il suo lavoro con umiltà e al tempo stesso determinazione.

 

Si tratta di un film autobiografico?

Non sono ancora nella fase in cui riesco a fare film senza attingere dalla mia vita privata. Un amore di Gioventù si inserisce infatti in una sorta di trilogia che nasce dalla medesima necessità: colmare il vuoto di una perdita, in questo caso affettiva, e trovare il giusto distacco attraverso il Cinema.

Tuttavia se volessi soltanto parlare delle mie esperienze personali, farei un documentario. Quello che invece mi interessa è il passaggio dalla realtà alla finzione; la possibilità di trasformare qualcosa di intimo e di privato in Arte e coglierne dunque lo scarto essenziale.”

L’Architettura gioca un ruolo fondamentale nel film. E’ forse uno strumento che aiuta la protagonista a razionalizzare la sua fragile emotività?

Si sicuramente è anche questo. L’Architettura poi ha molte affinità con il Cinema. Quando ho iniziato a dedicarmi alla scrittura mi sono resa conto che non era adatta a me, perché si nutre di solitudine, isolamento. Il cinema in questo senso costituisce un buon compromesso; ti permette, dopo una fase di elaborazione e ideazione, di confrontarsi con gli altri, di lavorare in team alla costruzione di un’opera. Così come l’Architettura è prima speculazione filosofica e matematica, poi riflessione su questioni concrete, materiali.”

Emerge dunque non soltanto il ritratto di un’artista e di una professionista, ma prima di tutto di una donna con la propria sensibilità e le proprie paure, capace però di incanalarle in qualcosa di Altro rispetto alle problematiche della vita quotidiana, ma che è anche il risultato di differenti apporti e  personalità.

Interessanti poi le considerazioni della regista sulla situazione cinematografica della Francia.

Lei a soli 31 anni ha realizzato tre film con un favorevole riscontro di pubblico e di critica, in un momento che vede altre registe donne sue connazionali venire alla ribalta. Si tratta di una felice coincidenza, o di un sistema produttivo che funziona?

Non so spiegare in modo esaustivo le ragioni di questo fenomeno, che effettivamente tocco con mano. In Francia c’è innanzitutto una profonda cultura cinematografica che in alcuni casi ci permette di essere un passo in avanti rispetto agli altri. E abbiamo la fortuna di essere appoggiati e finanziati quando dimostriamo di avere un progetto valido in cantiere, e soprattutto quando abbiamo già realizzato un film accolto positivamente. Detto ciò, non si tratta di una nuova Nouvelle Vague come ho già sentito dire. Non è in corso alcun movimento estetico, ma l’espressione di artisti diversi e con cose diverse da dire

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