Maiwenne Le
Besco
D.: Polisse è un film che riesce a dare la sensazione di
essere una presa diretta sulla realtà. C’è un motivo particolare
per cui ha scelto di dare al film un taglio documentaristico
selezionando, poi, i casi da portare sulla pellicola?
R.: Molto probabilmente riesce a dare la sensazione della realtà
perché è girato bene e la percezione di veridicità che si prova nel
guardarlo è dovuta proprio al modo in cui è stata effettuata
la selezione dei casi trattati nel film, dettata non tanto
dall’elemento della straordinarietà che, inevitabilmente, avrebbe
fatto dei poliziotti francesi degli eroi, ma piuttosto in
base alla capacità delle storie di essere molto vicine alla realtà.
Quello che ho cercato di fare con Polisse è stato fare mia la
realtà che mi circonda. E ogni volta che la realtà viene riportata
in un film questa assume sempre una connotazione differente a
seconda di chi è a raccontarla. Ad esempio i personaggi del film
non sono inventati ma sono persone il cui modo di essere è stato
messo in scena direttamente da me e l’elemento del suicidio ne è
una prova visto che proprio una poliziotta ha tentato di
suicidarsi.
D.: Ha lavorato a contatto con la polizia francese? E se si
come è stato valutato il suo operato da chi quotidianamente svolge
questo lavoro e quali difficoltà ha incontrato?
R.: Non ho avuto la possibilità di lavorare con loro perche i loro
capi non hanno voluto. Poi però alla proiezione si sono sentiti a
disagio perché il film effettivamente meritava e si sono resi conto
di aver perso un’opportunità. Quando si dirige un film non si ha la
possibilità di raccontare tutto, quello in cui mi sono impegnata è
stato cercare di fare un film che lasciasse libero lo spettatore di
riflettere senza essere pro o anti polizia.
Nel mio mondo, quello della “sinistra al caviale”, purtroppo quando
si parla di polizia si reagisce sempre in maniera negativa. Quando
mi sono resa conto che avrei potuto individuare degli elementi
positivi e quindi metterli in scena sono stata criticata, in
particolar modo, da quella sinistra di cui mi sento parte.
A tal proposito vi racconto un aneddoto. Un giorno con la mia
macchina ho imboccato una strada preferenziale e, giustamente, i
poliziotti mi hanno fermata. Quando ho aperto la portiera si sono
resi conto chi ero e mi hanno ringraziata per come sono riuscita a
portare sulla scena il loro lavoro.
Quello che effettivamente conta per me nella vita non è essere
compiacente con tutti, ma essere me stessa. Ho prodotto il mio
primo film da sola, l’ho girato da sola e sono fiera di essere
quello che sono.
Se mi rendo conto che c’è un poliziotto che fa bene il suo lavoro,
penso anche che valga la pena raccontarlo. Sono di sinistra, è
vero,ma non voglio e non devo compiacere nessuno.
Questa è una delle caratteristiche della Francia: fai una cosa per
trovare giustizia e poi vieni accusato di tradimento.
A Cannes sono stata contenta di due cose. Prima di tutto che una
rivista di sinistra mi abbia messo in copertina e abbia definito
Polisse: “un film che colpisce lo stomaco”. Seconda cosa quando il
Direttore del Festival
di Cannes mi disse che la decisione di eliminare alcuni
personaggi francesi dalla giuria avrebbe portato alla vittoria di
qualche film francese.
D.: Ha scelto Riccardo Scamarcio perché era intenzionata a
trovare un attore straniero o ci sono altre
motivazioni?
R.: Sinceramente a me non interessava riuscire a trovare un
attore straniero, quello che maggiormente volevo era un attore
carismatico. Alle origini del film il ruolo interpretato da
Riccardo rientrava a far parte di un triangolo amoroso: me, lui e
il poliziotto. Inizialmente avevo elaborato quest’idea di creare
conflittualità sia tra i due personaggi sia tra i due mondi che
essi stessi rappresentano: da una parte la facilità della vita
borghese e dall’altra la realtà povera del poliziotto. Poi mi sono
resa conto che creare una storia parallela a quella raccontata nel
film non funzionava. E il motivo principale per cui ho scelto
Riccardo è perché le sue peculiarità caratteriali si sarebbero
integrate perfettamente in questo contesto e soprattutto lo avrebbe
avvantaggiato il suo modo di essere un po’ chiuso nei
sentimenti. Mentre per quanto riguarda la lingua inizialmente ho
pensato che avrebbe potuto rappresentare un ostacolo poi invece
sono arrivata alla conclusione che avrebbe potuto aiutare a
renderlo un personaggio diverso dal contesto raccontato e che in un
certo senso mi avrebbe aiutato a riconciliarmi con le mie origini
maghrebine.
Forse in futuro girerò Polisse 2 con Riccardo come attore
principale!
D.: Il film è semplicemente straordinario. Cos’ha però di
autobiografico?
R.: La domanda e la risposta, in questo caso, rischiano di essere
uguali per tutti i registi. Ad ogni modo in ogni film c’è una parte
dell’inconscio che viene fuori e che ti porta a realizzare
determinate cose.
Io credo che qualsiasi artista quando produce una sua opera che sia
un quadro, una canzone o altro, racconta sempre qualcosa di sé, la
sua identità che poi è il passato.
Per me, ogni cosa che faccio, è autobiografica. L’abilità è nel
saperla nascondere. Molto probabilmente io non sono molto brava in
questo. Alcune volte però si tratta di antibiografia cioè
raccontare quello che si vorrebbe essere. Nei miei film, ad
esempio, è sempre molto presente l’aspetto della genitorialità, del
come si fa ad essere genitori o come si fa ad essere figli. Per
esempio nel mio ultimo film si percepisce la mancanza d’amore che
caratterizza il periodo dell’infanzia.
Se non ricordo male era Troufau a dire che si fa sempre lo stesso
film per tutta la vita e ci sono due frasi che caratterizzano la
mia esperienza: la prima me la disse un ragazzo quando avevo 11
anni: “Sai non ci sono regole per saper scrivere, si scrive come si
pensa.” La seconda è la seguente:” Tutti si possono identificare in
storie autobiografiche e in ogni storia autobiografica c’è qualcosa
di intimo”.
Riccardo Scamarcio
D.: Questa volta, al contrario di quello che succede
normalmente, hai recitato per un ruolo non da protagonista. Ti ha
fatto piacere?
R.: Avevo avuto modo di vedere il primo film di Maiwenne e la
conoscevo. Conoscevo il suo lavoro e il suo modo di lavorare e di
mettere in scena. Sostanzialmente ero curioso di lavorare con lei
che ha comunque un modo particolare di produrre film. Questo mi ha
spinto ad accettare questa parte che, sicuramente, in origine,
aveva un’importanza diversa da quella che ha avuto poi alla fine,
ma questo sinceramente non è rilevante perché la mia è stata
sostanzialmente una sfida, un mettersi in gioco nel recitare in
francese e nell’andare a lavorare in un altro Paese. La cosa che mi
ha spinto maggiormente è che Maiwenne quando gira un film parte dal
copione ma poi lascia ampio spazio all’improvvisazione. E questo,
per una persona che conosce il francese ma non lo parla come un
madrelingua è una grande sfida!
E poi Polisse è un film importante che parla di un argomento
altrettanto importante quale quello della pedofilia e ne parla in
maniera così differente dalla normalità che alla fine del film ho
provato un sentimento di tenerezza sia nei confronti dei bambini
che degli adulti.
D.: Secondo quanto detto prima il tuo ruolo avrebbe dovuto
essere molto più importante. Cosa hai provato quando hai visto le
tue scene ridotte?
R.: Mi è dispiaciuto perchè alla fine avevo fatto un gran lavoro in
10 giorni ma, allo stesso tempo, sono contento di essere in questo
film, anche con una piccola parte. Questo perché Polisse mi ha
trasmesso delle sensazioni e delle emozioni particolari: provare
tenerezza per un bambino è insito nella natura umana ma provare
quello stesso tipo di tenerezza anche per gli adulti non è cosa da
tutti i giorni.
Sono felice di averne preso parte perché è un film
intensamente vivo, che trasmette una grande vitalità e allo stesso
tempo una immensa tenerezza.
Inoltre guardandolo si riesce ad individuare quella sensazione
di malessere del vivere che, ormai, ci riguarda tutti, è un
film denso e non penso ce ne siano molti.
D.: Dato il tuo carattere pignolo com’è stata la tua prima
volta sotto la direzione di una donna e che hai provato a girare un
film in un paese straniero?
R.: Si effettivamente è la prima volta che recito in un film sotto
la direzione di una donna. E sinceramente ho accettato passivamente
tutto quello che Maiwenne mi ha chiesto. Per quanto riguarda,
invece, il mio essere pignolo non penso che i registi italiani
pensino questo di me o, perlomeno, nel set sono quello che tende a
risolvere i problemi poi al di fuori del set è tutta un’altra
cosa.
D.: Progetti Futuri?
R.: Tornerò a Roma a breve e comincerò il film con Valeria Golino,
al quale lavoro da ormai un anno, ovviamente come produttore. Il
titolo provvisorio è Vi perdono.
Polisse: conferenza stampa
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