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Susanne Bier presenta Love is all you need a Roma

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Dopo la proiezione alla Casa del cinema di Love is all you need della regista premio Oscar Susanne Bier, si è tenuta oggi, 14 dicembre, la conferenza stampa presso l’Hotel Sofitel Rome, alla presenza dell’autrice stessa e dell’attrice Trine Dyrholm, protagonista in questo film romantico, delicato e profondo.

Come mai ha scelto proprio l’Italia per ambientare una storia sfacciatamente romantica, quando avrebbe potuto girarla, ad esempio, a Parigi?

S.B.: Sorrento è un luogo che conosco molto bene perché insieme allo sceneggiatore Anders Thomas Jensen abbiamo scritto molti soggetti lì, ma sino a Love is all you need  non avevamo mai pensato di girarci un film. Poi questa storia ha preso forma e allora ci apparso naturale ambientarla in quello splendido scenario.

Considerato che nel film gli italiani appaiono felici, romantici, mi incuriosisce sapere come lei li vede

S.B. Non è intenzione del film dipingere gli italiani come se fossero sempre felici e romantici […], ma per raccontare una commedia romantica quel posto è apparso perfetto, anche in virtù del lato un po’ decadente, nostalgico della villa che non è ristrutturata.

Nel film c’è un dialogo molto bello tra Pierce Brosnan e Trine Dyrholm, sul parassita che attecchisce sull’albero di limoni e che rimanda metaforicamente al rapporto uomo-donna. La pensa anche lei come il protagonista?

E’ buffo perché spesso ci sforziamo di ricorrere a un linguaggio metaforico per esprimere qualcosa e non ci riusciamo; mentre in questo caso non avevamo alcuna intenzione di alludere a nulla (quel dialogo infatti è il frutto delle informazioni fornite da un esperto di botanica), e invece involontariamente lo abbiamo fatto.

A questo punto la conversazione si è spostata sulle difficoltà riscontrate dalla regista e dall’attrice nel cimentarsi con i toni lievi di una commedia romantica, considerati quelli ben più gravi delle opere precedenti. La prima ad intervenire è stata l’attrice protagonista Trine Dyrholm:

Il lavoro sul set non è stato così diverso perché avendo già lavorato con Susanne, che è una persona davvero divertente e sarcastica anche quando i temi del soggetto sono più cupi, non ho avuto difficoltà. Tuttavia è stato qualcosa di nuovo interpretare il ruolo di una donna così ingenua, non in un’accezione negativa, ma ingenua per la sua purezza, la sua voglia di vivere e di amare nonostante le grandi difficoltà. […] Devo anche aggiungere che l’idea di lavorare con una grande star come Pierce Brosnan mi emozionava tanto, ma lui si è rivelato una persona davvero fantastica.

S.B.: L’errore peggiore che si possa fare dopo aver vinto un Oscar è lasciarsi troppo condizionare nelle scelte successive e perdere così di vista quelli che sono i propri obbiettivi e la propria visione. Per me non è stato affatto difficile realizzare questo film perché è un soggetto su cui lavoravo da tempo insieme allo sceneggiatore; e ritengo che non sia davvero importante che si tratti di una storia triste o divertente, bensì che si rimanga sempre se stessi, veri e credibili in quello che si fa.

La domanda successiva riprende il rapido accenno fatto dalla regista alla vittoria dell’Oscar con il precedente In un mondo migliore:

Come ha cambiato la sua carriera un premio così importante?

Certamente averlo lì sulla scrivania è qualcosa di bello e di entusiasmante che aiuta nei passi successivi. Detto ciò la strada che si ha davanti non deve mai essere scontata: bisogna continuare a lavorare con costanza, scrupolo e serietà per portare avanti le idee e i progetti in cui si crede.

E’ possibile che questa commedia nasca anche dalla necessità di svincolarsi da un sempre più diffuso cinismo e una dilagante negatività?

Posso dire che la connessione non è consapevole ma probabilmente c’è. In molte buone commedie romantiche di questo genere c’è sempre un elemento di cinismo, mentre io volevo girarne una che non ne avesse e che comunque avrei amato vedere come spettatore. Per far ciò era indispensabile appoggiarsi su personaggi veri, profondi e ben costruiti.

T.D.: Concordo con la regista nel dire che qualsiasi cosa si vede nello schermo debba essere credibile. Ad esempio un aspetto che ritengo davvero bello e interessante nel modo di lavorare di Susanne, è che anche i personaggi secondari, come il marito della protagonista, non sono semplicemente “bianco o nero” ma posseggono delle sfumature: lui infatti, per quanto irritante nella sua stupidità, induce anche un sentimento di pena.