120 Battements Par Minute: recensione del film di Robin Campillo

120 Battements Par Minute

Oggi, nel 2017, l’AIDS non è di certo lo stesso mostro che era trent’anni fa. Le cure sono migliorate, l’informazione sulla prevenzione anche, nonostante si sia ancora lontani dal debellare del tutto il virus. Oggi un malato ha una prospettiva di vita decisamente alta rispetto al passato, diciamo anche che con l’AIDS si può convivere, nonostante non sia certo una passeggiata. All’inizio degli anni ’90 invece il panorama era decisamente diverso, ci si infettava con una facilità disarmante – sopratutto negli ambienti omosessuali – e soprattutto si moriva senza troppa sorpresa. Robin Campillo, montatore e regista francese, ci riporta indietro nel tempo con 120 Battements Par Minute per raccontare la situazione dell’epoca in Francia, dove il Governo investiva davvero poche energie per la prevenzione. Ad andare nelle scuole con coraggio, sfacciataggine e decisione era l’organizzazione Act Up-Paris, formata da un gruppo di volontari ammalati e non che con azioni eclatanti e vistose cercavano di far conoscere il virus ai giovani francesi.

 

120 Battements Par MinuteParliamo di anni in cui l’AIDS veniva visto come una peste moderna, trasmissibile anche attraverso il semplice contatto pelle-a-pelle, ovviamente nulla di più sbagliato e pericoloso. Blitz dopo blitz, morte dopo morte, il gruppo va avanti per migliorare la prevenzione della malattia, coinvolgendo il governo in questo processo, e cercando in tutti i modi di ottenere le prime cure disponibili, allora ancora in via sperimentale. Campillo mette così in scena un film corale pieno di ottimi attori “di strada”, sospinti dalla premiata attrice francese Adèle Haenel nel ruolo di Sophie e da due protagonisti principali, su cui il racconto si focalizza: Nahuel Pérez Biscayart/Sean e Arnaud Valois/Nathan. L’autore francese si spoglia di qualsiasi estetica, si arma soltanto di camera a mano e di tanta, tanta realtà. Assistiamo infatti a 140 minuti di dolore, sofferenza, speranza soffocata, fino ad arrivare all’inesorabile morte, lenta e violenta come lo stesso montaggio del film.

Fra le pieghe però anche dello smisurato amore, filosofico come carnale, un sentimento grazie al quale è possibile dimenticare – certo per brevi attimi – il baratro di una malattia che non concede sconti. Anche se l’opera è fortemente radicata negli anni ’90, e serve a omaggiare i combattivi movimenti giovanili di quelli anni, è anche incredibilmente attuale. Oggi infatti sembra essere tornato il silenzio a proposito di AIDS, le migliori cure disponibili hanno abbassato il livello di allarme, invece il virus è ancora in circolo, pericoloso e indelebile. È certamente un bene che 120 Battements Par Minute riprenda le fila del discorso, sottolineando soprattutto l’importanza della prevenzione, dell’uso del preservativo poiché unica vera arma efficace. Il suo linguaggio diretto è più funzionale di qualsiasi opuscolo o programma scolastico, entra in circolo sotto la pelle, emoziona e resta inciso probabilmente per sempre.

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RASSEGNA PANORAMICA
Voto di Aurelio Vindigni Ricca
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Aurelio Vindigni Ricca
Fotografo e redattore sul web, caporedattore di Cinefilos Games e direttore editoriale di Vertigo24.
120-battements-par-minute-di-robin-campillo120 Battements Par Minute riprende le fila del discorso relativo all'AIDS, sottolineando soprattutto l’importanza della prevenzione, dell’uso del preservativo poiché unica vera arma efficace. Il suo linguaggio diretto è più funzionale di qualsiasi opuscolo o programma scolastico, entra in circolo sotto la pelle, emoziona e resta inciso probabilmente per sempre.