Alam di Firas Kohury è tra i film in concorso alla Festa del Cinema di Roma. Il regista e sceneggiatore palestinese, classe 1982, con diversi corti all’attivo, esordisce nel lungometraggio portando l’attenzione sulle nuove generazioni e su come esse vivano oggi la questione israelo-palestinese.
La trama di Alam
Tamer, Mahmood Bakri, e i suoi amici, Shekel, Mohammad Karaki e Safwat, Muhammad Abed Elrahmann, sono dei ragazzi palestinesi che studiano in una scuola superiore araba israeliana. Il giorno dell’indipendenza di Israele per gli israeliani è una festa, mentre per i palestinesi un giorno di lutto – nakba. Così, i ragazzi pensano ad un’azione dimostrativa per riaffermare i diritti del proprio popolo: sostituire nottetempo la bandiera israeliana che sventola sul tetto della scuola con quella palestinese. Tamer, che non è un attivista per la causa, si fa coinvolgere, più per trascorrere del tempo insieme alla bella compagna di classe, Maysaa, Sereen Khass, che per convinzione. Pian piano, però, comincia a interrogarsi sulla propria identità e il proprio ruolo nella società.
Un racconto di formazione in una terra di conflitto
Alam – la bandiera – è un film semplice, con un filo narrativo lineare e un perimetro circoscritto di racconto. Kohury non pretende di raccontare troppo o di affollare la scena di personaggi dei quali, poi, sarebbe difficile tenere le fila. È una scelta giusta per un esordio. La storia di Tamer sarebbe un racconto di formazione come tanti. A renderla diversa è il luogo in cui si svolge e la situazione che lì perdura da più di settant’anni. Sta quindi più nel tema l’interesse del film, nel mostrare come le giovani generazioni vivono oggi sulla loro pelle un conflitto, quello tra Israele e Palestina, che si è trasformato e sta assumendo nuove forme. Sono giovani disillusi, che cercano vie nuove e non violente per affermare sé stessi e la propria identità. Ciò nonostante, anche una protesta pacifica o un atto dimostrativo in un contesto così teso può sfociare in qualcosa di imprevisto e mettere di fronte alla realtà di una repressione violenta e sproporzionata.
Un esordio semplice, con qualche pecca e alcuni spunti interessanti
Il giovane cast di Alam è credibile, ma non riserva particolari sorprese. Come il piglio del regista nel dirigere. Kohury firma anche la sceneggiatura. Qualche passaggio un po’ lento non aiuta. La cosa interessante è proprio la simbologia degli oggetti. La bandiera è un simbolo forte in un contesto come quello descritto. Si è in un ambiente dove intorno all’appartenenza, al riconoscersi in una bandiera o nell’altra, ruota tutto. Basti pensare all’ospedale. Dovrebbe essere il luogo senza bandiere per eccellenza, perché lì si curano tutti, a prescindere. Invece è pieno di bandiere israeliane che penzolano dal soffitto. Anche la scuola dovrebbe seguire la stessa logica: è araba israeliana, dunque, perché esporre solo una delle due bandiere? In fondo i ragazzi palestinesi vogliono solo essere visti e riconosciuti nella loro identità, come tutto il popolo palestinese. Alam, girato prevalentemente in Tunisia, è un film d’esordio con qualche pecca e alcuni spunti interessanti. Il percorso del regista, che insegna cinema ai giovani, è coerente, ma ancora lungo.