A cinque anni dall’arrivo in sala di Prometheus, Ridley Scott riporta sul grande schermo le mostruose creature che hanno popolato l’immaginazione degli appassionati di cinema di fantascienza dal 1979 a oggi, con Alien: Covenant.
Il sesto capitolo del franchise è ambientato a dieci anni da Prometheus e si pone, cronologicamente parlando, come prequel perfetto del primo, perfetto e inarrivabile Alien dello stesso regista. Con Alien: Covenant però Ridley Scott vuole mettere a posto le cose, correggere il tiro, conferire un’oscura epicità al progetto narrativo complessivo e, perché no, far dimenticare quello che in Prometheus non aveva affatto funzionato.
La trama di Alien: Covenant
Siamo a bordo della Covenant, un’astronave in missione di colonizzazione planetaria, che giunge su un pianeta sconosciuto, adatto a ospitare la vita. Il pianeta in questione sembra un vero e proprio paradiso, ma la realtà dei fatti è molto più spaventosa. Molto presto, l’equipaggio della Covenant, incautamente sbarcato e in esplorazione, fa i conti con gli oscuri segreti di quel paradiso terrestre, ignaro che trai suoi alberi e la vegetazione rigogliosa si nasconde, come da migliore tradizione biblica, il diavolo in persona.
Quello che nacque come un progetto rischioso e sperimentale e che con Aliens divenne un blockbuster di intrattenimento per eccellenza, un cult del genere, si è trasformato in un franchise che ha come filo conduttore la smania per la creazione, la ricerca dell’origine della vita, l’essere degno o meno dell’uomo stesso di ereditare la “Terra” e il dominio sulle creature che la abitano.
L’equipaggio della Covenant
Registicamente Ridley Scott predilige quindi l’azione alla suspence e ci proietta sapientemente in un racconto che, nonostante le suddette perplessità, riesce a intrattenere, anche grazie a un cast apparentemente anonimo (Michael Fassbender a parte) che però serve benissimo la storia. Da Billy Crudup a Danny McBride, passando per Demian Bichìr, l’equipaggio della Covenant è variegato e vivace senza lasciare un segno preciso nello spettatore che sa che in poco tempo dovrà dire addio a moltissimi dei personaggi che ci vengono appena presentati. Nonostante ci siano tanti spunti di approfondimento per ogni personaggio, Scott predilige la via dell’azione, per fortuna, regalando pochissimo tempo a ogni membro del cast, sacrificando l’umano per costruire un inno al mostro, rendendo le sue creature le vere protagoniste di questa nuova, macabra Genesi.
Anche in questo capitolo Alien: Covenant troviamo l’eroina, Daniels, interpretata da Katherine Waterson, che si trova a combattere contro la creatura in una battaglia all’ultimo sangue. La donna è considerata protettrice della vita, essere supremo capace di dare la vita, madre feconda che nei distorti meccanismi distruttivi del mostro è l’incubatrice perfetta, ma anche la naturale avversaria del progetto di sterminio. Con un’interpretazione paradossalmente per sottrazione, la Waterson disegna un nuovo personaggio, che non è per niente simile a quello di Ripley (Sigourney Weaver) né un tentativo di imitarla (come invece aveva fatto Noomi Rapace in Prometheus), un’eroina sofferente, spaventata ma mai rassegnata.
Walter e David
Elemento di raccordo di Alien: Covenant rispetto al capitolo precedente è la presenza di Michael Fassbender nel doppio ruolo di Walter e David. Gli androidi non hanno mai ispirato grande fiducia nell’universo di Alien, eppure il lavoro di Fassbender nel dare corpo ai due differenti personaggi ne umanizza le caratteristiche e allo stesso tempo li pone a una ragguardevole distanza dagli altri caratteri, decisamente umani e viscerali, scienziati, astronauti e colonizzatori, alle prese con paure e limiti.
Il creazionismo mostruoso in Alien: Covenant di Ridley Scott
Tra echi biblici e rievocazioni del franchise, Alien: Covenant si perde nei meandri delle descrizioni, delle spiegazioni, delle specificazioni narrative che soddisfano certamente la sete di conoscenza dei fan più accaniti ma che penalizzano il ritmo narrativo. Il film alterna quindi lunghi momenti di distensione a scene concitate, dove Scott, abbandonando l’estetica del “non visto” e della suspence, ci mostra tutto l’orrore sanguinolento che uno Xenomorfo che nasce e si nutre può causare.
Nella follia dell’onnipotenza, nella ricerca della propria immortalità attraverso la (pro)creazione, Alien: Covenant si appesantisce di un’ambiziosa portata esistenziale che era accennata in Prometheus e che, nel personaggio di David, trova la sua più lugubre e allo stesso tempo affascinante figura promotrice. Ridley Scott tenta di scavare a fondo nell’anima nera del genere, unendo in nozze di sangue horror e fantascienza in un equilibrio perfetto che si discosta dalle strutture narrative passate, già replicate, e si apre alla possibilità, nello sconcertante seppure non sorprendente, finale.
“Nello spazio nessuno può sentirti urlare”
Se da una parte l’orrore è connaturato alla stessa esistenza delle creature protagoniste, dall’altra quello stesso orrore ammalia lo spettatore che si lascia trascinare nel buio della galassia, consapevole che nello spazio nessuno lo sentirà urlare.