Il 23 Novembre il genere action si arricchirà di un nuovo film, American Assassin, probabilmente il primo di una copiosa saga. La pellicola trae ispirazione dai romanzi di Vince Flynn, serie di quindici volumi dedicata all’agente della CIA Mitch Rapp. I libri di Flynn, scritti a partire dal 1999, hanno avuto subito un enorme successo di pubblico e sono entrati tra i Best Sellers del New York Times.
American Assassin – L’Assassino Americano è il primo volume della saga, e dà il calcio di inizio a tutte le peripezie del giovane protagonista Mitch, spiegandone anzitutto le origini e le motivazioni. Mitch Rapp (Dylan O’Bryan) vede morire davanti ai suoi occhi l’amata fidanzata Katrina (Charlotte Vega) per mano di un gruppo di terroristi islamici. Deciso a vendicarsi, viene assoldato dalla CIA e allenato duramente dal veterano della Guerra Fredda, Stan Hurley (Michael Keaton). Dovrà sventare più di un attacco criminoso e scontrarsi col più temibile dei nemici – Ghost (Taylor Kitsch) – un ex allievo di Hurley, impazzito e in procinto di costruire un ordigno nucleare.
Il regista Michael Questa, già vincitore di due Emmy Awards per i pilot delle serie tv Homeland e Dexter, si trova ormai a suo agio col genere spy e thriller, senza però badare troppo al fatto che il passaggio da piccolo a grande schermo dovrebbe avere delle connotazioni differenti.
Quando si guarda American Assassin non è infatti facile liberarsi dell’impressione di stare assistendo all’ennesima puntata di un crime drama stile Homeland, dove però vi è la primaria necessità di condensare in 120 minuti ciò che in una serie tv viene sciorinato in decine e decine di puntate.
Come se non bastassero le
spiegazioni “frettolose” che premono per catapultare i personaggi
nell’azione pura, la logica svanisce dopo i primi minuti del film,
quando apprendiamo che Mitch Rapp, giovanotto senza particolare
inclinazione o presenza, nell’arco di 18 mesi apprende letali
tecniche di combattimento nonché l’intera conoscenza della lingua e
della cultura arabo-islamica.
Inoltre, American Assassin tocca i suoi punti più bassi nella disarmante piattezza di contenuti e di moralità. Questo tipo di storie peccano dell’ormai nota ipocrisia americana per cui la violenza made in USA è pienamente giustificabile, rispetto a quella dello straniero. La sequenza iniziale – quell’idillio d’amore infranto, dal retrogusto melò – diventa un pretesto per la messa in scena dei deliri d’onnipotenza di un giovane americano qualunque. Un Giustiziere fai-da-te che combatte contro un terrorismo stereotipato, senza un approfondimento o quanto meno un tentativo di inquadrare in un’ottica più ampia una situazione politica estremamente spinosa (quella tra israeliani e palestinesi).
E se la maggior parte del cast, a partire dal protagonista Dylan O’Brien, risulta poco credibile, ancora più incomprensibile sembra la presenza di Michael Keaton, sghignazzante macchietta di un Sergente Hartman di kubrickiana memoria. In aggiunta ai cliché sulla cultura mediorientale, buona parte del film mette in scena una Roma da cartolina poco credibile, con i soliti adrenalinici inseguimenti per le viuzze del centro storico.