Con Hui jia (Back Home), presentato nella sezione Fuori Concorso – Non Fiction a Venezia 82, Tsai Ming-Liang conferma la sua fedeltà a un cinema fatto di sottrazione, lentezza e contemplazione. Al centro della sua opera c’è Anong, un laotiano che torna nella propria terra dopo un periodo di lontananza. Il viaggio, scandito da piani fissi e silenzi, si rivela subito più complesso del previsto: la “casa” evocata dal titolo non è mai un approdo sicuro, ma un luogo continuamente messo in discussione. C’è una tensione sospesa tra appartenenza e straniamento, tra intimità e precarietà.
Il gesto del “Hand-sculpted Cinema”
Tsai da anni ha abbandonato le sceneggiature tradizionali, scegliendo una forma di lavoro che lui stesso definisce “Hand-sculpted Cinema”. È un gesto di libertà radicale: eliminare i vincoli dell’industria per restituire al cinema una dimensione manuale, quasi artigianale. Back Home è realizzato con strumenti minimi, una Canon, una Leica, tre persone in viaggio, ma proprio in questa nudità trova la sua forza. Ogni inquadratura appare come scolpita nella durata e nello spazio, un esercizio di pazienza e precisione che si sottrae a ogni logica produttiva. È il contrario di un film “costruito”: è un’opera che accade, si deposita, e infine resta come traccia di un’esperienza condivisa.
L’assenza di parole non è
mai mancanza, bensì respiro. Tsai osserva con la calma di chi non
vuole spiegare né commentare, ma solo lasciare che lo sguardo si
posi, resista. Questo cinema muto è anche un invito a un altro tipo
di ascolto: quello dei dettagli, degli spazi vuoti, delle assenze
che parlano.
Back Home: una casa che sfugge
Se la casa di Anong è quella che ritrova nella famiglia e nella terra natale, per il regista la casa diventa una stanza d’albergo, un luogo anonimo e provvisorio. È forse questa la contraddizione più intensa del film: la tensione tra radici e transito, tra il desiderio di stabilità e la necessità di movimento. Il ritorno a casa è sempre anche un allontanamento, un nuovo viaggio in partenza. Back Home mostra che il “ritorno” non è mai completo, perché l’esperienza dell’esilio e della distanza lascia una traccia permanente.
Un cinema radicale ed emozionante
Alla fine resta un’opera di sorprendente complessità emotiva. Tsai Ming-Liang continua a interrogare il concetto stesso di appartenenza, spingendo lo spettatore a riflettere sul senso del “tornare” in un mondo dove la casa è insieme rifugio e miraggio. Un cinema radicale, che non teme la lentezza né il vuoto, e che proprio per questo riesce a toccare corde profonde e universali.
Back Home
Sommario
Un esercizio di pazienza e precisione che si sottrae a ogni logica produttiva