Banel e Adama, recensione del film di Ramata-Toulaye Sy – Cannes 76

Banel e Adama è l'unica opera prima in concorso a Cannes 76, dove si contenderà la Palma d'oro.

Banel e Adama (2023)

In un illustre concorso internazionale come quello del Festival di Cannes, c’è anche spazio per un’opera prima: Banel e Adama, della regista franco-senegalese Ramata-Toulaye Sy. Il film, pur non convincendo sotto ogni aspetto, è una delle sorprese di questa edizione del Festival cinematografico.

 

Banel e Adama: l’amore nel Senegal delle regole

Un giovane appena entrato nell’età adulta racconta una leggenda appresa durante l’iniziazione che lo porterà alla carica di capo villaggio, ereditata dal padre e dal fratello maggiore, entrambi morti prematuramente. Questa storia è proprio come la coppia che dà il titolo al film: isolata, come se fosse fuori dal mondo, ma governata da codici rigorosi. Banel (Khady Mane) sposa Adama (Mamadou Diallo) dopo la morte del fratello maggiore, secondo una tradizione che obbliga le donne a diventare le mogli di una famiglia, passando da un fratello all’altro secondo i capricci della vita, ma anche della morte.

Queste regole così ferree e imprescindibili che sostanziano la vita della comunità ci vengono introdotte fin dall’inizio, con i due coniugi che si pongono come ribelli in sfida alla tribù per la loro volontà di rifiutare titoli e obblighi, e per il loro desiderio di costruirsi una vita lontano dal villaggio. Banel rifiuta tutto, anche la maternità, più in generale il suo destino di donna, condannata a essere solo un grembo per perpetuare la stirpe dei capi a cui appartiene Adama. Il piano dei due amanti è chiarissimo: rifiutare il titolo di capo, costruire una casa alla periferia del villaggio di sabbia e tentare di conquistare la libertà tanto desiderata vivendo fuori dalla comunità.

Un viaggio tragico immerso nella superstizione

Molto interessante è una seconda dimensione che Banel e Adama introduce: quella della superstizione e del modo in cui i segni e il mondo vengono interpretati alla luce dei divieti sfidati. Le case di sabbia sono considerate maledette e le azioni di Adama profanano la tradizione, portando siccità, morte e distruzione in questa piccola e fragile area nella savana. Il susseguirsi di problemi che intervengono, portando a un cambiamento nell’atteggiamento del giovane marito, contribuirà a far precipitare il film nella tragedia. Adama, che prima si ergeva con orgoglio davanti ai genitori e ai coetanei, ora si inchina e scompare gradualmente dalla vista di Banel. Lo status quo e le tradizioni riprendono il controllo delle sue azioni, con grande disperazione della donna che pensa solo a lui e non vuole più aspettare di trasferirsi nella loro nuova casa. L’impazienza si trasforma quasi in follia: Banel è pronta a fare qualsiasi cosa pur di non adempiere ai ruoli assegnati dal suo status di donna al servizio delle famiglie del villaggio.

Una delle soprese di Cannes 76

Banel e Adama si affida quasi esclusivamente alla sua estetica così precisa e alla performance dell’attrice protagonista, Khady Mane, luce dell’intera narrazione, del resto lineare e anche programmatica. Molto complessa e decisamente femminista, l’evoluzione della sua Banel è davvero interessante: con il progredire della storia, diventa inquietante nel suo opporsi alle tradizioni e alle convenzioni della comunità. Le usuali tappe del viaggio dell’eroe – desiderio di fuga, seguito da una rinuncia e da un esito fatale – non permettono al film di elevarsi al di sopra della bellezza delle sue inquadrature. Perso nei suoi passaggi sublimi, quasi da cartolina, Banel e Adama dimentica di dare corpo alla sua storia e ai suoi personaggi, che sono la sua ragion d’essere.

Girato interamente in lingua fulani, Banel e Adama resta comunque una delle sorprese del Festival di Cannes 2023: anzitutto, in quanto unica opera prima presentata in concorso, ma anche per la capacità della regista di costruire un racconto tragico e sfruttare in maniera sapiente l’estetica dei paesaggi africani per raccontare il viaggio interiore dei suoi protagonisti. Certo, al film manca la profondità e la portata emotiva che gli avrebbero permesso di andare oltre la sua cornice ben definita, ma Banel e Adama non è affatto un film fallimentare.

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