Ci sono film che vanno raccontati con cautela, perché svelarne troppo significa privare lo spettatore del loro incanto. The Life of Chuck, diretto da Mike Flanagan e tratto dall’omonimo racconto di Stephen King, appartiene a questa categoria rara. È un’opera che non si lascia incasellare facilmente: non è un dramma convenzionale, non è una commedia, non è un film catastrofico né un biopic in senso classico. È, piuttosto, una sinfonia cinematografica che si dispiega in tre “movimenti”, proprio come una composizione musicale.
Questa scelta strutturale riflette la natura stessa del racconto originale di King, che non segue una linearità narrativa tradizionale. Flanagan, fedele interprete dell’universo kinghiano (già dietro a Doctor Sleep e alla serie The Haunting of Hill House), traduce questa fluidità in immagini, restituendo al pubblico un’esperienza che è tanto emotiva quanto intellettuale.
Primo movimento: l’Apocalisse
Il film si apre con un
mondo che sembra avviato verso la fine. Internet collassa,
l’energia elettrica si spegne, il pianeta sembra ribellarsi ai suoi
abitanti. Catastrofi naturali e tecnologiche si susseguono come
presagi di un epilogo ineluttabile. In questo contesto incontriamo
Marty (Chiwetel
Ejiofor) e Felicia (Karen
Gillan), che un tempo erano sposati e che ora si
ritrovano in mezzo al caos.
Flanagan costruisce qui un’atmosfera sospesa: mentre le notizie apocalittiche si moltiplicano, immagini enigmatiche di un uomo, Chuck Krantz, compaiono ovunque. Manifesti, schermi, cartelloni: tutti invitano a ringraziarlo per “39 meravigliosi anni”. Ma chi è Chuck? Perché il mondo deve ringraziarlo? L’interrogativo resta sospeso, e la forza di questa prima parte sta proprio nel non dare risposte immediate, ma nel seminare un mistero che vibra di inquietudine e fascino.
Secondo movimento: il cuore di The Life of Chuck
Il secondo movimento rappresenta il centro pulsante del film. Qui incontriamo finalmente Chuck adulto, interpretato con sorprendente delicatezza da Tom Hiddleston. La scena chiave è una sequenza quasi surreale: Chuck si ferma davanti a un percussionista di strada e improvvisa un numero di danza sulle sue battute. È un momento leggero, gioioso, apparentemente insignificante. Ma come spesso accade nei lavori di Flanagan, dietro la semplicità si nasconde una profondità abissale.
Chuck invita una sconosciuta, Janice (Annalise Basso), a unirsi a lui. I due ballano, si lasciano andare, creano un legame improvviso e fugace che rimarrà impresso nello spettatore. È un momento che parla della vita in senso universale: l’importanza dell’attimo, della spontaneità, della scelta di esserci davvero. È forse la scena più memorabile del film, quella che rimane negli occhi e nel cuore anche molto dopo i titoli di coda. Qui Hiddleston regala una performance misurata e magnetica: non un eroe larger-than-life, ma un uomo comune che riesce a trasformare la banalità in poesia.
Terzo movimento: infanzia e memoria
Il finale ci porta indietro nel tempo, all’infanzia e all’adolescenza di Chuck. È un capitolo che amplia il respiro narrativo, mostrando come ogni vita sia un mosaico di istanti, decisioni e ricordi. In questo segmento spiccano i nonni di Chuck, interpretati da Mark Hamill e Mia Sara.
Hamill dona al nonno una gravitas quasi biblica, un uomo guidato da valori forti ma non sempre dai migliori consigli. Sara, invece, incarna con dolcezza e vitalità la nonna, amante della danza e custode di una saggezza fatta di leggerezza. Questa sezione del film ha il sapore malinconico dei ricordi che scorrono rapidi: ciò che da bambini sembra eterno, da adulti si riduce a pochi fotogrammi brucianti.
Flanagan riesce così a chiudere il cerchio, collegando i frammenti precedenti e dando al mosaico di Chuck un senso di completezza. Non una risposta definitiva, ma una risonanza emotiva che invita lo spettatore a riflettere sulla propria vita.
Tra King e Flanagan
The Life of Chuck è stato spesso presentato come un film di fantascienza. In realtà, le etichette qui stanno strette. Certo, ci sono elementi apocalittici e atmosfere che rimandano al Vonnegut di Mattatoio n° 5, ma l’opera di Flanagan è più vicina a un racconto esistenziale. Non ci troviamo davanti a un enigma da risolvere, ma a un prisma narrativo: ogni spettatore può riflettervi dentro il proprio significato, le proprie emozioni, i propri ricordi.
Le influenze cinematografiche sono molteplici: da La vita è meravigliosa a Amélie. Ma Flanagan non si limita a citare: costruisce un’opera personale, calda, intima, in cui l’elemento soprannaturale o misterioso non serve a spaventare, bensì a illuminare. L’autore conferma la sua abilità nel maneggiare il materiale di King senza ridurlo a un esercizio di genere. Qui non c’è horror, non ci sono mostri né fantasmi. C’è piuttosto il mistero più grande di tutti: la vita stessa, con i suoi momenti fugaci e irripetibili.
Emozionante, enigmatico e sorprendentemente luminoso, The Life of Chuck è un’opera che invita a ballare, anche solo per un istante, nel mezzo del caos.
The Life of Chuck
Sommario
Ogni spettatore può riflettervi dentro il proprio significato, le proprie emozioni, i propri ricordi.