Black Star di Francesco Castellani

Black Star

Basato su una storia vera, Black Star tratta di una squadra di calcio di rifugiati politici che quattro amici italiani allenano con l’ambizione di farla partecipare al campionato cittadino. Ottenuto in gestione un vecchio campo di calcio abbandonato nel quartiere di Pietralata a Roma, la squadra diviene il bersaglio di un gruppo di abitanti che si unisce in un Comitato di Quartiere, rivendicando l’uso del campo e ottiene, grazie ad un abile avvocato, lo sgombero del campo.

 

Tuttavia dopo essere sopravvissuti all’inferno dell’emigrazione forzata, i ragazzi non pensano neanche per un secondo di mollare e si barricano all’interno del campo per quattro giorni, fino a quando, durante la notte di San Lorenzo, tutto si risolve in un lacrimevole lieto fine. Per il cast sono stati scelti tutti attori evidentemente non professionisti: indubbiamente buone le intenzioni, peccato per il risultato da dilettanti allo sbaraglio e non solo per la pessima recitazione.

Black Star, il film

Mettere persone ‘comuni’ davanti ad una cinepresa (in memoria di Pasolini), si sa, è sempre un rischio e non tutti hanno il coraggio di mettersi così tanto in discussione. Pertanto, pur apprezzando il coraggio – che a volte premia, come nel caso del film vincitore del premio della giuria Alì ha gli occhi azzurri – non riusciamo a vederne gli effettivi (inesistenti) risultati.

Il film di Francesco Castellani, presentato fuori concorso al festival internazionale del film di Roma è costruito su intuizioni registiche potenzialmente buone, ma si disintegra nell’impatto con una sceneggiatura scontata, banale e retorica, e satura di cliché  tipicamente da fiction televisiva… tant’è che il film sarebbe stato certamente più apprezzabile e godibile se non fosse stato presentato al festival, ma avesse avuto una distribuzione prettamente televisiva.

Una materia che poteva essere interessante, se non altro per il fatto che quello della squadra di calcio è un progetto vero, scade in qualcosa di già visto, che a tratti può far sorridere ma che, una volta usciti dalla sala, non ci lascia granché. Nel finale, decisamente troppo lungo, l’immancabile lieto fine fa spegnere lentamente le speranze (sempre dure a morire) di un colpo di scena salvifico… così, succede esattamente quello che ci si aspetta: discorso commovente e vissero per sempre felici e contenti.

Una commedia certamente senza pretese, ma che, nell’ambito festivaliero che giunge alla fine, non fa altro che dare il colpo di grazia all’inevitabile stanchezza dello spettatore. Arrivati faticosamente ai titoli di coda, la sensazione non può che essere quella di una partita giocata male: perfetta sulla carta, ma disastrosa nell’impatto con la realtà.

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