Blue Sky BonesIl regista cinese Cui Jian ci racconta Blue Sky Bones, una storia appassionante e un po’ intricata che ci conduce, insieme ad un ragazzo, sulle tracce di un passato lontano, in una terra, la Cina comunista, in cui due anime possono amarsi e odiarsi sotto l’egida del dovere.

 

La storia si riassume facilmente in una frase che il ragazzo protagonista scrive per una sua canzone: “Mia madre è uno schianto, mio padre una spia e io sono un hacker”. I giovane hacker in questione, a tempo perso musicista, cerca di ricostruire la sua vita attraverso oggetti che gli vengono recapitati a casa dal padre: foto, diari e le parole di una misteriosa canzone. Con il tempo scopriamo che autrice di quelle parole fu la madre, la donna più bella della Rivoluzione Culturale, è condannata ai lavori in campagna a causa di una canzone intitolata “La stagione perduta”. L’uomo che ama la tradisce e lei si ‘accontenterà’ del padre del protagonista, una spia che rovinerà la vita del figlio e della donna stessa.

Il racconto si dipana in maniera complessa, effettuando enormi salti temporali e reiterazioni di scene che ci portano in città moderne e subito dopo in caratteristici villaggi dell’interno della Cina. Si tratta di una ricerca di sé portata avanti con una buona cognizione del mezzo cinematografico; a contribuire alla bellezza delle immagini del film, oltre ai paesaggi naturali, anche un decor, uno stile e una fotografia che saturano i colori e li rendono quasi violenti. Lo stile di regia, lontano dai lunghi ritmi del cinema orientale, è convincente, per un risultato apparentemente scomposto e disorientante che però lascia una bella immagine di sé.

Blue Sky Bones è un film che nella confusione narrativa trova anche la sua principale bellezza. Presentato in Concorso all’ottava edizione del Festival Internazionale del Film di Roma.

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