La strage di Bologna
del 2 agosto 1980, che costò la vita a 85 persone, così come le
figure di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, terroristi dei
N.A.R. condannati per la strage, non erano mai stati al centro di
un lungometraggio. Ci ha pensato Giorgio Molteni – autore di
diversi film, ma noto soprattutto per aver diretto numerose fiction
(tra cui La squadra 1, Un posto al
sole, Centovetrine) – assieme a Daniele
Santamaria Maurizio. L’intento è senz’altro lodevole, specie ora
che qualcosa sembra muoversi riguardo al segreto di Stato, che
potrebbe far luce sui mandanti della strage, ancora ignoti. I mezzi
sono quelli di un film autoprodotto. Ma ciò può bastare a
giustificare le manchevolezze di questo lavoro? Purtroppo no.
Innanzitutto, non viene fatta una precisa scelta stilistica: ci si muove fra la cinematografia di genere (un po’ poliziottesco anni ‘70, un po’ melò romantico anni ’80), i film per adolescenti, la fiction tv e il vero dramma, la scelta stilistica più appropriata, ma che non riesce a imporsi. Evidente comunque l’indirizzo verso un pubblico giovane e giovanissimo.
Conseguenza di questa scelta, dell’intento che i registi hanno definito “didascalico”, divulgativo, ma che possiamo dire anche commerciale, è la semplificazione, non solo di una trama complessa – la parabola criminale di Fioravanti e Mambro, il legame tra terrorismo di destra, servizi segreti deviati e massoneria – ma un eccessivo semplicismo nel soggetto. I protagonisti Giuseppe Maggio (Alverio Fiori), Marika Frassino (Antonella de Campo), Lorenzo De Angelis (Tiziano Furlani), liberamente ispirati a Fioravanti, Mambro e Ciavardini, sembrano e restano per lo spettatore più una banda di teppisti anche piuttosto sprovveduti, che un gruppo terroristico di cui plausibilmente si possano servire P2 e servizi segreti deviati.
Anche la sceneggiatura – di Fernando Felli, all’esordio – ha evidenti limiti: i dialoghi non paiono convincenti ma stereotipati, il lessico desueto, o poco appropriato a personaggi e situazioni, o retoricamente enfatico.
Le interpretazioni certo ne risentono e senza dubbio non si trattava di prove facili, specie per attori giovani come Giuseppe Maggio. L’impostazione televisiva si sente e la sensazione della messa in scena resta alta, frenando un vero coinvolgimento anche da parte dello spettatore. In particolare, l’esordio della lucana Marika Frassino non convince.
Questi elementi penalizzano molto il prodotto, che è comunque più adatto al piccolo schermo. Coi mezzi a disposizione ci si sarebbe forse potuti “accontentare” di confezionare un onesto film di genere, piuttosto che avventurarsi ad affrontare una delle pagine più drammatiche della nostra storia, e dunque cinematograficamente molto impegnativa. Intento senza dubbio nobile, ma il risultato non può considerarsi soddisfacente.