#RomaFF12: Cabros de mierda, recensione del film di Gonzalo Justiniano

cabros de mierda

Un delicato e struggente ritratto della vita durante la feroce dittatura di Augusto Pinochet, che si impadronì del governo in Chile l’11 settembre del 1973, con un colpo di stato. Pinochet si macchiò di crimini contro l’umanità di crudeltà inaudita, tanto che ancora oggi si fa fatica a stimare realmente le cifre dello sterminio di massa che mise freddamente in opera.

 

Siamo in una baraccopoli di Santiago del Chile, nel 1983, ancora molto distanti dall’11 settembre del 1990, quando finalmente cadde la dittatura. La dolce ma forte Gladys vive assieme a sua madre e a sua figlia, entrambe con lo stesso nome, all’interno di una povera comunità che nasconde sovversivi comunisti che non riescono e non possono accettare l’oppressione militare di Pinochet. Con le tre Gladys vive anche un tenero bambino occhialuto, dell’età di tredici anni e chiamato Vladi. Il padre del bimbo è un oppositore che vive nascosto sotto falso nome.

Un giorno giunge nella comunità Samuel Thomson, un missionario che cerca di diffondere la parola di Dio, ma che probabilmente deve lui stesso trovare delle certezze. Samuel è appassionato di fotografia e documenta con la sua fotocamera e la sua cinepresa S8 la vita, l’oppressione e i tentativi di ribellione delle persone che comincia a conoscere e amare sempre di più, giorno dopo giorno.

Samuel dovrà fare i conti con la passione, con l’amore, con la fede, con l’ideologia e purtroppo anche con la spietata polizia militare.

Gonzalo Justiniano riesce con semplicità a costruire un racconto corale, che descrive teneramente, dall’interno, il lungo periodo della dittatura in Chile. Orchestra bene i registri del racconto, passando dai toni allegri e scanzonati della commedia, fino al dramma più nero, costringendo a riflettere e facendo dimenticare che si tratta solamente di un film. Questo grazie anche a fotografie e filmati di repertorio, giustificati narrativamente dal lavoro di documentazione di Samuel.

Registicamente parlando, non siamo troppo distanti da quanto visto in Detroit di Kathryn Bigelow, ma il suo tono energico è totalmente “Gringos”, a differenza della poesia, della passionalità e della voglia di vivere che Gonzalo Giustiniano riesce a infondere in ogni fotogramma. Un manipolo di attori bravissimi rende impossibile non amare i personaggi interpretati con immensa sincerità. Su tutti spiccano Nathalia Aragonese (Gladys) passionale, determinata, autentica e il piccolo Elías Collado (Vladi) tenero, ironico ai limiti del sarcastico.

I cabros de mierdas del titolo sono i bambini quando si comportano male. Così a volte viene chiamato Vladi, ma anche i biechi torturatori della polizia militare quando vengono riconosciuti dalle donne che li avevano cresciuti, dalle proprie maestre, dai vicini di casa. Forse anche Gladys, Samuel, e tutti i loro amici oppositori potrebbero essere definiti in questo modo, perchè che il loro gioco non è troppo distante da quello dei bambini, visto che si limitano a sbeffeggiare Pinochet, con caricature e scritte sui muri. Certo, non mancano momenti di ribellione armata, ma è nulla, una bazzecola a confronto della violenza inaudita della controparte.

Cabros de Mierdas è un film semplice, sincero, onesto, ma importante, insieme a tanti altri, per ricordare e riflettere su un dramma immane dei nostri giorni. Un piccolo tassello per non dimenticare i desaparecidos persi nelle fredde acque dell’oceano.

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