Mal de Pierres: recensione del film con Marion Cotillard

Probabilmente il nome Milena Agus non dirà molto ai più, eppure gli appassionati di letteratura l’assoceranno subito a libri come Mentre Dorme il Pescecane e soprattutto Mal di Pietre, grazie al quale è stata tradotta in almeno cinque lingue e portata in cima alle classifiche francesi. La scrittrice cagliaritana ha aperto lo scrigno dei ricordi personali per condividere con il mondo la storia vera della nonna, cresciuta in un ambiente contadino, sposata per convenienza e considerata un’esagitata, una matta. Matta per la sua fragilità e insicurezza, per la sua facilità d’innamorarsi degli uomini sbagliati, che puntualmente le rifilano sofferenza, per le sue ossessioni e i suoi sogni ad occhi aperti.

 

Una persona simbolo di un preciso momento storico, piegato dalla guerra e da tanta popolare ignoranza, durante il quale si fa fatica a distinguere il bisogno dalla malattia psichica e si getta tutto nel primo calderone disponibile. Le intenzioni di un libro però possono essere incredibilmente differenti da quelle di un film per il grande schermo, anche in caso di ispirazione diretta. È il caso di Mal de Pierres, l’adattamento cinematografico firmato dall’attrice e regista francese Nicole Garcia, che pensa bene di trasformare la donna in un personaggio letterario e come tale di riadattarlo a nuovi contesti e nuove meccaniche. In questa rinnovata dimensione della storia, il sole e il vento caldo della Sardegna si trasformano nel clima mite del sud della Francia, mentre il Premio Oscar Marion Cotillard presta voce e corpo a Gabrielle, la protagonista.

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Come nell’opera letteraria, anche nel film è avvolta e divorata da un terreno ostile che non capisce i suoi desideri, che non ha tempo e voglia di rimanere ad ascoltarla, motivi per cui ha gravi problemi a relazionarsi con gli altri, a innamorarsi e a esprimere qualsivoglia sentimento. Qualcosa però, sin dalle primissime battute, sembra non andare per il verso giusto. I riferimenti alle pagine scritte si fanno subito pallidi, lontani, uno sfondo di cartapesta incollato a fatica su un set creato per l’occasione. Un racconto lineare e tragico, erotico e surreale, fatto sì di lacrime e passione ma senza carattere, senza mordente. Ogni scena scivola via come acqua su un vetro, vista e rivista, addirittura alcuni caratteri distintivi della carta vengono rimossi e abbandonati su schermo: Gabrielle non è più incompresa, giovane e ingenua, al contrario appare come costantemente pervasa da un istinto primordiale, non più innamorata ma bisognosa di riempire un vuoto fisico, egoista e seriamente distaccata dalla realtà. Non va molto meglio ai due personaggi che le ruotano intorno nella trama principale, nella finzione cinematografica interpretati da Alex Brendemühl e Louis Garrel, poco approfonditi e cambiati nell’animo. Pedine di poco conto, al servizio di una Regina spenta, sommessa, e per far spegnere un vulcano come Marion Cotillard ci vuole davvero tanto impegno.

Non bastano le sue nudità, in primo piano su schermo per oltre metà film (sì ma occhio alle controfigure…), a risollevare le sorti di un tracollo senza possibilità di appello; la Signora del cinema francese piange, corre, rincorre e si dispera in tutta la sua bellezza, questa si sempre inattaccabile, ma una direzione poco incisiva e un copione eccessivamente abbozzato la fanno crollare minuto dopo minuto. Nicole Garcia compie dunque peccato due volte, reinterpretando in modo libero e ambiguo un’opera estremamente interessante, incastonata in un determinato contesto che nello script scompare come per magia, e sprecando l’occasione di dirigere una fra le attrici più passionali e talentuose del cinema mondiale. Ciò che resta è un melò neppure troppo elegante, anzi semplice e a tratti imbarazzante, che meriterebbe di esser decostruito e rigirato da zero. Se il mondo di Gabrielle è fatto di numerosi elementi inesistenti, i 120 minuti di Mal de Pierres sono tutti reali e non c’è fantasia in cui rifugiarsi.

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