Corpo Celeste: recensione del film di Alice Rohrwacher

Corpo Celeste recensione film 2011

Marta torna nella natia Reggio Calabria, dopo aver vissuto dieci anni in Svizzera. Ad accoglierla il vento e il cemento, insieme ad una comunità bigotta e triste, che trascina i suoi giorni sopravvivendo passivamente alla quotidianità.  Nella sua opera prima, Alice Rohrwacher (sorella di Alba Rohrwacher) mostra con lucidità e sensibilità la crescita, l’educazione, la curiosità di un essere elegante e selvaggio, la piccola e bravissima protagonista Yile Vianello, che nel ruolo di Marta mostra maturità ed una grande capacità attoriale.

 

Significativo per l’economia del racconto il personaggio di Santa (Pasqualina Scuncia), a metà tra una perpetua e una catechista, incarna il fanatismo bigotto di provincia che esaudisce nella religione libresca lo scopo della sua intera esistenza, un personaggio spaventoso ed innocuo che nelle pieghe della sua mente atrofizzata, nasconde la crudeltà dell’ignoranza. Anche Salvatore Cantalupo, che interpreta Don Mario il prete ‘politico’, ha il giusto viso per dare ambiguità a questa figura a metà tra luce ed ombra.

Al centro del racconto di Corpo Celeste c’è proprio la figura della Chiesa nella società contemporanea, e la regista con grande onestà si chiede se il suo possa ancora essere un ruolo trainante, di riferimento, come cerca di costruirlo disperatamente Santa. Quello che però pervade la pellicola in maniera inesorabile è l’estraneità su diversi livelli: quella di Marta dalla città di cemento che abita, quella della Chiesa stessa dalle sue ‘pecore’, quella del prete che cerca una posizione migliore, fino ad arrivare a quella dello spettatore stesso che rimane interdetto dal linguaggio così diretto eppure sofisticato che la Rohrwacher utilizza. E quindi il vero Corpo Celeste, l’estraneo, diventa il film stesso, sospeso com’è tra la realtà che mostra e l’estraniazione che ne deriva.

Corpo Celeste riesce a guardare lì dove la bruttezza della realtà incontra un’anima tanto sensibile da riuscire a guardare con curiosità anche il più asfittico e morto degli ambienti. La regista confeziona così un prodotto coraggioso, forse a tratti noioso, ma sicuramente di valore nel nostro panorama omogeneizzato.

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