Dopo l’iniziale scetticismo, la saga di Creed è entrata di diritto nel cuore degli sportivi, con i primi due capitoli all’altezza del franchise padre, quello di Rocky. Con Creed 3 si chiude la prima trilogia che vede protagonista Adonis Creed, figlio di Apollo e allenato proprio da quello Stallone Italiano che era stato sfidante prediletto del campione dei pesi massimi.
Dopo due capitoli in cui Adonis cerca di uscire dall’ombra del padre e ha all’angolo Rocky, finalmente in questa terza storia, Creed è protagonista senza dubbio alcuno e senza più nessuno a fargli ombra, o almeno è quello che pensa lui. Rinchiuso nella sua villa, con moglie e figlia, lontano dal ring da oltre 5 anni, Adonis si ritrova a fare i conti con il passato quando sul suo cammino si intromette “Diamond” Dame Anderson, un vero e proprio fantasma dal passato, arrivato a reclamare vendetta per una vita che lui non ha vissuto.
Creed 3 è l’esordio di Michael B. Jordan alla regia
Esordio alla regia di Michael B. Jordan, e primo film dell’intero franchise sportivo a non vedere coinvolto Sylvester Stallone (se non nel ruolo secondario di produttore associato) e primo film in cui Rocky nemmeno viene menzionato, Creed 3 vede sovrapporsi finzione e realtà, in un mondo in cui Adonis, come Michael, deve fare a meno dei riferimenti che lo hanno formato, Stallone/Rocky, per poter camminare da solo. E dal punto di vista della regia, Jordan compie questa emancipazione giocando sul sicuro, con qualche idea incisiva e un classicismo preso a prestito proprio da quei film dai quali vuole emanciparsi.
Dopotutto è difficile dirigere un incontro di boxe al cinema senza avere in mente il lavoro di Garrett Brown nel film del 1976, e così Michael B. Jordan, impegnato anche a recitare oltre che a dirigere, si concede pochi passi fuori dal sentiero conosciuto, confezionando in fin dei conti un film che funziona e che si fonda proprio sulle interpretazioni dei due grandi protagonisti.
Un titanico Jonathan Majors
Conosciamo il talento del protagonista, esploso anni fa con Fruitvale Station e poi declinatosi in varie forme nel corso degli ultimi dieci anni, quello che però lascia davvero senza fiato è il lavoro di Jonathan Majors per il suo Dame Anderson: la mole spaventosa dell’attore gli conferisce una fisicità rozza, ingombrante e minacciosa, eppure la sua recitazione è raffinatissima e calibrata, riesce a raccontare l’imbarazzo, il dolore, la ferocia, la vendetta, la forza bruta, il rimpianto, il perdono con una delicatezza impensabile. L’attore, che da poco abbiamo visto (e vedremo) nel Marvel Cinematic Universe nei panni di Kang il Conquistatore, merita sicuramente spazio e modo per esprimere questo talento così solido e camaleontico, che lo renderà, ne siamo certi, trai protagonisti delle prossime stagioni cinematografiche.
Ma cosa fa di uno sportivo un campione? Perché la saga di Rocky e anche quella di Creed ci hanno insegnato che l’impegno e la dedizione alla fine pagano, sul ring come nella vita, ma che per lo sport e per la boxe in particolare, c’è bisogno di qualcosa in più. Bisogna sapere per cosa si combatte, bisogna avere la “fame” della vittoria, bisogna avere il cuore al posto giusto e soprattutto bisogna sapere chi è la persona che vediamo allo specchio quando ci guardiamo. È questo che deve imparare a fare Adonis ancor prima di raccogliere questa sfida che lo trascina nella paura e nella rabbia, ancora prima di mettersi di nuovo in forma per poter combattere e riprendersi il suo titolo.
Bianca, una moderna Adriana
Ma come Adriana era la fonte principale della motivazione del suo Rocky, anche Bianca è la chiave di volta per entrare nell’emotività di Adonis. È chiaro che il personaggio di Tessa Thompson è molto diverso da quello di Talia Shire, dal momento che è una donna del 2023, in carriera, con le sue ambizioni e i suoi problemi (è una musicista ma sta perdendo l’udito), ma questo non le impedisce di avere un ruolo salvifico nella vita dell’eroe, non solo, è anche lei la causa scatenante, l’amore che tutto sostiene e tutto muove, il punto fisso che manca al villan, sebbene non si possa parlare proprio di cattivo.
Il vero cattivo, in Creed 3 come in tutti i film del franchise, è chi siamo davvero e quanto siamo disposti a metterci in gioco per scoprire davvero chi è la persona nel nostro riflesso. Forse in questo film questo elemento è talmente presente da risultare didascalico, dal momento che Dame non è altro che il riflesso distorto di Adonis e che, in un finale che non lascia pienamente soddisfatti, si distende per assumere esattamente i tratti dell’eroe, se non fisicamente almeno nelle ambizioni. Adonis e Dame si vedono e si riconoscono, sono mossi dal senso di colpa, dall’amore fraterno, ma anche dalla paura reciproca, per via di quello che entrambi rappresentano per l’altro.
E in questa dualità, tanto a fuoco da risultare pedante, si nasconde il punto di forza e allo stesso tempo la grande debolezza di Creed 3. Che nel continuare a disegnare la parabola di Adonis, si allontana dai propri padri senza però portare con sé lo spirito più profondo di un racconto sportivo che si dimostra solido ma che perde un pezzetto di cuore, forse, per mancanza di “fame”.