Dall’alto di una fredda torre: recensione del film di Francesco Frangipane – #RoFF18

Opera prima di Francesco Frangipane, il film mira a porre pesanti questioni morali ed etiche su cui riflettere.

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Chi butteresti dalla torre, mamma o papà? È questa, semplificato al massimo, la domanda irrisolvibile posta agli spettatori dal film Dall’alto di una fretta torre, opera prima di Francesco Frangipane, regista che vanta però alle spalle una lunga carriera teatrale. Questo suo primo lungometraggio è infatti tratto proprio da un testo da lui già portato sul palcoscenico nel 2015, scritto da Filippo Gili che assume per questo adattamento il ruolo di sceneggiatore. I due con lo spettacolo teatrale prima e con questo progetto cinematografico ora, si interrogano dunque sui grandi temi universali come la vita e la morte, il destino e il libero arbitrio.

 

Presentato nella sezione Grand Public della Festa del Cinema di Roma, il film, data la sua domanda di partenza, si presenta dunque come una vera e propria tragedia moderna che si fonda sugli archetipi di quella greca, interrogandosi su questioni grandi ma calandole in un contesto intimo, famigliare, da cui far trasparire ancor di più la gravità e la complessità di ciò su cui il regista vuole si rifletta. L’adattamento di Dall’alto di una fredda torre riesce però solo in parte a portare a termine tale obiettivo, rimanendo talvolta troppo sospeso in una dimensione di simboli e metafore che allontanano il film da una più completa sviscerazione dei temi trattati.

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La trama di Dall’alto di una fredda torre

Dall’alto di una fredda torre propone dunque una situazione in cui la normalità di una famiglia composta dal padre Giovanni (Giorgio Colangeli), dalla madre Michela (Anna Bonaiuto) e dai figli gemelli omozigoti Elena (Vanessa Scalera) e Antonio (Edoardo Pesce), viene spezzata da una terribile scoperta: entrambi i genitori sono gravemente malati. Potrebbero essere salvati entrambi da una donazione dei due figli, ma sfortunatamente solo uno dei due è compatibile. Pertanto, solo uno dei due genitori può essere salvato. Ai due figli spetterà dunque decidere se comunicarglielo e, soprattutto, decidere chi tenere in vita. Una scelta che li obbligherà a fare i conti con il loro passato e che porterà a galla i più feroci istinti.

L’impossibilità di una decisione

Sin dalle sue premesse di base (una malattia rara sviluppata dai due genitori, la compatibilità di solo uno dei due figli alla donazione), Dall’alto di una fredda torre chiede allo spettatore di non focalizzarsi sugli aspetti straordinari del racconto quanto sulle domande che costringe a porsi e sulle risposte che occorre darsi. Il film vuole affrontare l’angoscioso dilemma se sia giusto o no incidere sul destino degli altri, se sia lecito sostituirsi al fato, ponendo i protagonisti di fronte alla facoltà e responsabilità, di dover decidere se far vivere o far morire un uomo, con tutte le questioni morali e sociali che ne conseguono.

Dall'alto di una fredda torre Anna Bonaiuto
Anna Bonaiuto in Dall’alto di una fredda torre. Foto di © Arianna Lanzuisi.

Questioni che vengono dunque poste attraverso una situazione in cui può essere facile immedesimarsi e che proprio per questo punta a catturare e tenere lo spettatore incollato alla ricerca di una risposta. Risposta che, per quanto il regista tenti davvero di trovare, non sembra poterci essere. Viviamo allora attraverso i volti e i corpi degli attori la drammaticità di questa situazione, che già con la sua premessa pone in crisi dimostrando quanto possa essere arduo se non impossibile prendere decisioni di natura etica, specialmente se ci si trova a scontrarsi poi con contesti che per loro natura spingono invece a prenderle, queste decisioni.

Un film evasivo

Ciò che colpisce di Dall’alto di una fredda torre e della regia di Frangipane, è il modo in cui si cerca di non ripudiare la provenienza teatrale, ma anzi di esaltarla per far sì che anche attraverso di essa si possa evincere la natura smarrita dei protagonisti. Una famiglia in tutto e per tutto simmetrica che si spezza però nel momento in cui viene a mancare quell’elemento doppio che avrebbe potuto riequilibrare il tutto (ovvero la compatibilità di uno solo dei due figli). Il regista gioca allora con questi equilibri e vi riesce anche grazie ad un quartetto di attori ben affiatati. Vanessa Scalera, che aveva già interpretato Elena nello spettacolo teatrale, spicca in particolare su tutti.

Eppure, nonostante queste note di merito, Dall’alto di una fredda torre, specialmente nel momento in cui si avvicina alle sue battute finali, dimostra di non riuscire ad offrire non tanto una risposta – appunto, forse impossibile – quanto una più completa trattazione delle tematiche sollevate con questo racconto. Sono tanti i conflitti che animano il film ma forse proprio perché tanti sono i punti vista si ha la sensazione che non tutti riescano ad offrire quanto avrebbero potuto dire sull’argomento. Si giunge così ai titoli di coda con più incertezze di quelle che si aveva prima della visione, ma probabilmente non nel senso che regista e sceneggiatore intendevano.

Sommario

L'adattamento di Dall'alto di una fredda torre riesce solo in parte a portare a termine il proprio obiettivo di comunicare la natura inafferrabile di certe questioni, rimanendo talvolta troppo sospeso in una dimensione di simboli e metafore che allontanano il film da una più completa sviscerazione dei temi trattati.
Gianmaria Cataldo
Gianmaria Cataldo
Laureato con lode in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza e iscritto all’Ordine dei Giornalisti del Lazio come giornalista pubblicista. Dal 2018 collabora con Cinefilos.it, assumendo nel 2023 il ruolo di Caporedattore. È autore di saggi critici sul cinema pubblicati dalla casa editrice Bakemono Lab.

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L'adattamento di Dall'alto di una fredda torre riesce solo in parte a portare a termine il proprio obiettivo di comunicare la natura inafferrabile di certe questioni, rimanendo talvolta troppo sospeso in una dimensione di simboli e metafore che allontanano il film da una più completa sviscerazione dei temi trattati.Dall'alto di una fredda torre: recensione del film di Francesco Frangipane - #RoFF18