Cosa passa nella mente di un condannato a morte nessuno può saperlo, se non chi vive quest’esperienza sulla propria pelle. E’ questo l’argomento di Interviews Before Execution, un famoso format in onda in prima serata su Henan TV, in Cina. La cosa che lascia basiti è che qui non siamo di fronte ad un reality finto, con attori e un copione studiato a tavolino. Qui è tutto verissimo e i condannati a morte che vengono filmati sono condannati veri.

 

Dead Man Talking è una sorta di lunghissimo backstage di Interviews Before Execution che ci fa entrare, nostro malgrado, nella vita di una giornalista/conduttrice televisiva bella ed intelligente che si è fatta una posizione proprio intervistando i condannati a morte nelle carceri statali cinesi. Una voce fuori campo (quella del bravo David Ritchie) ci accompagna in una lunga serie di interviste, alcune davvero al limite dell’umana sopportazione, che vedono Din Yu, questo il nome della donna, imbattersi di volta in volta in un caso diverso, un profilo psicologico nuovo. Quello che lascia più scossi in questo documentario non sono tanto le lacrime dei parenti, non è tanto lo stato di devastazione interiore dei colpevoli né la lenta agonia dipinta sui loro volti su cui indugiano con cattiveria le telecamere. E’ il cinismo di un certo statalismo cinese, l’intransigenza dei suoi tutori dell’ordine nel proferire frasi giuste e comprensibili, ma dette e applicate con un tale distacco da farle risuonare peggio della condanna stessa. E’ quella continua alternanza tra la vita alto borghese della conduttrice di Interviews Before Execution e lo sguardo assente dei colpevoli mandati al patibolo. Un attimo prima Din Yu ci dà lezioni di “trucco in movimento” dall’interno di un furgone con la sua troupe e un attimo dopo intervista un detenuto gay che, prima di essere giustiziato, cerca con insistenza la mano della sua interlocutrice come ultimo disperato tentativo di redenzione. E il tutto avviene sotto lo sguardo divertito delle guardie.

Con un’evidente dose di cinismo, la conduttrice del programma ci porta nei meandri del suo mestiere, che è quello di intervistare i condannati a morte poco prima della loro esecuzione. “Sono la testimone del loro trapasso dalla vita alla morte” dice Din Yu, non nascondendo una punta di orgoglio. Un po’ psicologa e un po’ venditrice di emozioni a basso costo per la gente in poltrona, il lavoro di Yu è quello di far parlare davanti alle telecamere chi sta per morire, strappandogli un ultimo testamento filmato da far pervenire ai suoi cari. Quello che la giornalista ottiene, il più delle volte, sono le scuse pubbliche rivolte ai familiari per gli errori commessi, le lacrime degli stessi quando ricevono il videotestamento ma non mancano momenti di alta tensione come nell’ultimo spezzone, dove Din Yu arriva a piangere ed insultare l’assassino di una bambina, dopo averlo intervistato. Sempre e comunque, nel nome dell’audience.

Presentato per la prima volta al Festival del Film di Roma, la visione di Dead Man Talking risulta spesso indigesta e cruda ma è incontestabile il suo valore catartico. Si tratta di un documentario concepito per fare rumore ma soprattutto per capire meglio in quali tempi stiamo vivendo.

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