El Conde: recensione del film di Pablo Larraín #Venezia80

Con il suo nuovo film, dal 15 settembre su Netflix, Larraín affronta finalmente il temuto Augusto Pinochet.

El Conde Pablo Larraín recensione

Un’ombra si staglia ancora oggi sul Cile, anche a decenni di distanza dal suo momento di maggior nitidezza. È l’ombra di Augusto Pinochet, il noto generale che l’11 settembre del 1973 prese il potere con un golpe, dando vita ad un regime dittatoriale tra i più crudeli della storia. Difficile dimenticare quella triste e nera pagina di storia, durata fino al 1990 e mai realmente voltata. Un horror a tutti gli effetti, ed è proprio così che in El Conde il regista Pablo Larraín sceglie di raccontare Pinochet, come un vampiro centenario che continua a succhiare il sangue cileno anche a distanza dalla propria caduta politica.

 

Questo suo nuovo film, presentato in concorso all’80ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia, è dunque un ritorno a quello che è stato l’argomento che ha reso celebre Larraín e il suo cinema, ovvero la dittatura di Pinochet. Da prima affrontata attraverso i suoi effetti sul popolo cileno con Tony Manero e Post Mortem e in seguito nel racconto del referendum che ha portato alla sua caduta in No – I giorni dell’arcobaleno. Una trilogia dove Pinochet non viene dunque mai affrontato di petto e che proprio per via di questa presenza-assenza risulta ancor più spaventoso. Con El Conde, è però giunto il momento di affrontarlo direttamente.

El Conde, tra satira e rilettura storica

El Conde è una commedia dark che ipotizza un universo parallelo ispirato alla storia recente del Cile. Il film ritrae Augusto Pinochet, un simbolo del fascismo mondiale, nei panni di un vampiro che vive nascosto in una villa in rovina nella fredda estremità meridionale del continente: nutre il suo desiderio di malvagità al fine di perpetuare la propria esistenza. Dopo duecentocinquanta anni di vita, Pinochet decide però di smettere di bere sangue e di abbandonare il privilegio della vita eterna, non potendo più sopportare che il mondo lo ricordi come un ladro. Con sua sorpresa, però, troverà una nuova ispirazione per continuare a vivere una nuova vita di passioni attraverso una relazione inaspettata.

Pinochet il vampiro

Pinochet non era mai stato rappresentato al cinema, un tabù a lungo preservato che gli ha permesso di acquisire ancor di più un’aura controversa, considerando anche il suo essere morto nel 2006 senza aver mai scontato neanche un giorno di carcere per i suoi crimini o le sue frodi. Larraín, mostrandolo ora per la prima volta, punta non solo a rivelare la sua vera natura – quella di vampiro – ma anche a scalfire questa sua immagine rimasta ad oggi quasi inviolata o, peggio ancora, dimenticata. Ci viene così presentato questo anziano debilitato, isolato e apparentemente innocuo. Caratteristiche dalle quali però non bisogna lasciarsi ingannare, perché oltre a tutto ciò egli è prima di tutto un vampiro.

Una natura qui usata sì in senso letterale ma, ovviamente, più forte nel suo senso metaforico. Non bisogna infatti aspettarsi un film di vampiri come si è abituati a pensarli, per quanto non manchino spargimenti di sangue e mutilazioni. El Conde è prima di tutto un’opera satirica – unico modo per non scivolare nell’empatia, come affermato dal regista – che deride Pinochet in ogni modo possibile, a partire dal suo essere più preoccupato di venire ricordato come un ladro che non come un assassino. Si costruisce così un racconto che scena dopo scena va ad attaccare il dittatore, ma anche la sua famiglia, da ogni punto di vista possibile.

El Conde Jaime Vadell

Il film più politico di Larraín

Larraín, insieme a Guillermo Calderón, scrive dunque una “origin story” per Pinochet, facendolo divenire l’emblema del male che ciclicamente ritorna e proponendo dunque un monito nei confronti di tale rischio. Per arrivare a far emergere tale avvertimento, egli ci introduce al racconto con una voce narrante  – che all’inizio può far storcere il naso, ma che trova poi spiegazione una volta giunti al finale – dalla quale si viene accompagnati lungo la casa-museo di Pinochet alla scoperta di questa personalità tanto controversa. A dargli volto troviamo l’attore Jaime Vadell, che si fa carico di questo pesante ruolo riuscendo a renderlo sia tragico che buffo, portando così a compimento l’intento del regista.

Certo, rispetto alla trilogia poc’anzi citata, El Conde risulta un film dal minor impatto emotivo (per quanto via sia una costruzione estetica di grandissima eleganza), e forse con qualche libertà artistica di troppo, ma di certo dimostra che Larraín ha ancora da dire a riguardo, proponendo una propria personale interpretazione che, già dalla sua premessa, si può definire irresistibile. Da un punto di vista politico, invece, il film è tanto esplicito quanto feroce e in ciò trova la sua forza. Forse il suo finale potrebbe apparire estraneo alle caratteristiche ad oggi note del cinema del regista, ma forse è così che andrebbe inquadrato El Conde, come un punto d’arrivo che potrebbe dar vita ad una nuova fase nella carriera del regista, per la quale si possono avere grandi aspettative.

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Gianmaria Cataldo
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Gianmaria Cataldo
Laureato in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è un giornalista pubblicista iscritto all'albo dal 2018. Da quello stesso anno è critico cinematografico per Cinefilos.it, frequentando i principali festival cinematografici nazionali e internazionali. Parallelamente al lavoro per il giornale, scrive saggi critici e approfondimenti sul cinema.
el-conde-pablo-larrainEl Conde risulta un film dal minor impatto emotivo (per quanto via sia una costruzione estetica di grandissima eleganza), ma di certo dimostra che Larraín ha ancora da dire riguardo la figura di Pinochet, proponendo una propria personale interpretazione che, già dalla sua premessa, si può definire irresistibile.