El paraíso: recensione del film di Enrico Maria Artale #Venezia80

Il film di Enrico Maria Artale è un'opera che affronta il rapporto tra madre e figlio con un'energia viscerale.

El paraiso recensione

Un uomo se ne sta appoggiato alla porta del bagno delle donne, dal quale esce poi una distinta signora che capiamo essere la madre di lui. Prima di tornare sulla pista da ballo del locale in cui si trovano, l’uomo blocca la donna e con fare amorevole le pulisce il naso da un velo di cocaina che le era sfuggito. Inizia così El paraíso, il nuovo film di Enrico Maria Artale presentato nella sezione Orizzonti della Mostra del Cinema di Venezia. Una prima scena che ci descrive già con grande precisione il rapporto intenso, a tratti morboso, esistente tra la madre e il figlio protagonisti.

 

Sulla loro relazione si costruisce dunque un film che Artale scrive ricercando percorsi inaspettati ed emozioni sincere, con l’obiettivo di indagare la sottile linea che distingue amore e follia, ma anche semplicemente di offrire una buona storia, che dimostri la forza di rimanere nella mente dello spettatore ben oltre la visione. E di momenti particolarmente toccanti ce ne sono in El paraíso, che piano piano porta alla luce le proprie vere intenzioni e si rivela essere un’opera di genere che utilizza il melodramma e la telenovelas sudamericana come punti di partenza per identificare le emozioni dei propri personaggi.

El paraíso, la trama del film

Proagonista del film è Julio Cesar (Edoardo Pesce), un uomo di quasi quarant’anni che vive ancora con sua madre (Margarita Rosa De Francisco), una donna colombiana dalla personalità trascinante. I due condividono praticamente tutto: una casetta sul fiume piena di ricordi, i pochi soldi guadagnati lavorando per uno spacciatore della zona, la passione per le serate di salsa e merengue. Un’esistenza ai margini vissuta con amore, al tempo stesso simbiotica e opprimente, il cui equilibro precario rischia però di andare in crisi con l’arrivo di Ines (Maria Del Rosario), giovane colombiana reduce dal suo primo viaggio come “mula” della cocaina.

Ossessioni e possessioni

A partire dall’arrivo di questa figura estranea, dunque, si sviluppa una crescente gelosia che da una parte porta alla luce tutta l’ossessione della madre nei confronti del figlio, mentra dall’altra permette a Julio Cesar di assaporare una libertà che gli è nuova. Ines risulta dunque essere il mezzo di contrasto per far emergere tutta una serie di non detti, segreti, ossessioni, paure ma, soprattutto, sentimenti. Perché El paraíso vuole prima di tutto essere questo, un film di emozioni ricercate e raccontate con sincerità, provate da personaggi che non sanno come esprimerle e nel cercare di farlo sono pronti anche a sbagliare.

Proprio per via di questa loro incapacità nel gestire le proprie emozioni, ciò che li circonda sembra venire in loro soccorso, dando forma al loro mondo emotivo attraverso colori, luci, sapori e odori. Artale ha infatti rivelato di aver concepito la messa in scena del film non solo come un richiamo ad un contesto altro, la Colombia, sempre nei pensieri dei protagonisti per svariati motivi, ma anche per raccontare attraverso le immagini ciò che essi non sanno dirsi. Assistiamo dunque ad un film dai toni molto caldi, talvolta acidi, che ci descrivono bene il senso di ossessione che si sviluppa tra Julio Cesar, sua madre e Ines, senza che debbano esternarlo loro a parole.

El paraiso Margherita Rosa de Francisco Baquero Edoardo Pesce

I corpi tragici di El paraíso

Ma se è vero che i personaggi non comunicano davvero tra loro, di certo lo fanno i loro corpi. Artale mantiene una certa vicinanza nei loro confronti, ma non stringe mai troppo su di loro così da lasciargli libertà di movimento ed espressione. Ed è così che i protagonisti hanno modo di trovare la loro dimensione nello spazio, nella casa angusta e labirintica costruita per loro. I loro corpi parlano, si esprimono, manifestano intenzioni ed impulsi, come si può notare ad esempio dal lavoro compiuto dall’attrice Margarita Rosa De Francisco, che con il ruolo della madre dà vita ad una grande prova attoriale.

I corpi dunque comunicano molto più delle parole in El paraíso, ma sono anche lo strumento attraverso cui si esprime il più forte dei legami possibili, che non manca di manifestarsi in un paio di scene che si assesteranno come duri colpi per stomaci deboli. Probabilmente ad essere ricordate saranno in particolare questo tipo di scene, che lo stesso regista ha affermato essere state le immagini da cui si è poi costruito il racconto dell’intero film, ma in El paraíso c’è molto di più, a partire da una generale atmosfera di malinconia, data dal cambiamento più sù descritto e che ci presenta una madre e suo figlio in tutta la loro tragicità di esseri umani.

- Pubblicità -
RASSEGNA PANORAMICA
Gianmaria Cataldo
Articolo precedenteSAG-AFTRA in sciopero: gli Studios di Hollywood accusati di uno “sforzo deliberato per prolungare lo sciopero”
Articolo successivoMaking Of: recensione del film di Cédric Kahn #Venezia80
Gianmaria Cataldo
Laureato in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è un giornalista pubblicista iscritto all'albo dal 2018. Da quello stesso anno è critico cinematografico per Cinefilos.it, frequentando i principali festival cinematografici nazionali e internazionali. Parallelamente al lavoro per il giornale, scrive saggi critici e approfondimenti sul cinema.
el-paraiso-enrico-maria-artaleCostruendo un intenso rapporto tra madre e figlio, contornato da luci e colori che riscaldano le immagini, il film di Enrico Maria Artale è una convincente esplorazione sul tema, affrontata con una forte attenzione alle emozioni e con elementi simboli difficilmente dimenticabili.