Esterno Notte recensione serie

A tre anni da Il traditore, Marco Bellocchio continua a raccontare la storia d’Italia e i suoi protagonisti, nel bene e nel male. Come suo solito, con rigore e fantasia, e con la coerenza e la qualità di un artista capace di sovrapporre realtà tanto diverse e contrapposte. Quasi un obbligo morale per un Maestro che a 82 anni riesce ancora a stupire per la freschezza dello sguardo e la lucidità narrativa che caratterizzano l’Esterno notte presentato in anteprima al Festival di Cannes 2022 e distribuito al cinema in due parti (la prima dal 18 maggio, la seconda dal 9 giugno 2022) prima di essere trasmesso nell’originale formato seriale in autunno su Rai 1.

 

La prima serie di Marco Bellocchio

Sei episodi con i quali il regista torna sul caso Moro, già trattato nel Buongiorno, notte del 2003 basato sul libro Il prigioniero di Paola Tavella e dell’allora BR Anna Laura Braghetti, insospettabile proprietaria dell’appartamento di via Montalcini. Un racconto “importante”, per lui prima che per i destinatari, per recuperare il controcampo di quella storia e di quel personaggio, seguito allora nello spazio angusto – politico ed esistenziale – della prigionia e oggi visto attraverso le implicazioni e le ragioni delle scelte che vennero prese, sulle (e alle) sue spalle, all’esterno di quel cubicolo.

Una “eccezione alla mia regola di non ritornare più su storie già raccontate”, la definisce Bellocchio stesso, che approfitta della sua prima esperienza nella serialità per approfondire quel che successe attraverso alcune figure importanti: da Francesco Cossiga a Papa Paolo VI, dalla moglie Eleonora ad Adriana Faranda e i suoi compagni brigatisti. Ai quali danno vita gli incredibili attori – rispettivamente Fausto Russo Alesi, Toni Servillo, Margherita Buy e Daniela Marra – di un cast completato da Gigio Alberti (Benigno Zaccagnini), Pier Giorgio Bellocchio (l’allora capo della Digos, Domenico Spinella), Fabrizio Contri (Giulio Andreotti), Gabriel Montesi (Valerio Morucci) e ovviamente Fabrizio Gifuni, nei panni del riflessivo e pacato Presidente della DC.

La storia di Esterno Notte è nota

Siamo nel 1978, con l’Italia dilaniata dallo scontro tra lo Stato e le Brigate Rosse, organizzazione armata di estrema sinistra tra le principali responsabili del clima di quegli ‘Anni di Piombo’, caratterizzati da violenza di piazza, rapimenti, gambizzazioni, scontri a fuoco, attentati. Il momento è cruciale perché sta per insediarsi, per la prima volta in un paese occidentale, un governo sostenuto dal Partito Comunista (PCI) d’accordo con gli storici avversari conservatori della Democrazia Cristiana (DC). Un “Compromesso storico” del quale proprio Aldo Moro è il principale fautore, e che segna un passo decisivo nel reciproco riconoscimento tra i due partiti più importanti d’Italia.

Proprio nel giorno dell’insediamento del Governo che con la sua abilità politica è riuscito a costruire, il 16 marzo 1978, sulla strada che lo porta in Parlamento, Aldo Moro viene rapito con un agguato che ne annienta l’intera scorta. È un attacco diretto al cuore dello Stato. La sua prigionia durerà cinquantacinque giorni, scanditi dalle lettere del rapito e dai comunicati dei brigatisti: cinquantacinque giorni di speranza, paura, trattative, fallimenti, buone intenzioni e cattive azioni. Cinquantacinque giorni al termine dei quali il suo cadavere verrà abbandonato in un’automobile nel pieno centro di Roma, esattamente a metà strada tra la sede della DC e quella del PCI.

Esterno NotteDiversi punti di vista per un dramma complesso

Coerente con il suo stile e l’amore per l’esplorazione della realtà anche attraverso dei piani che poco avrebbero a che fare con essa, Bellocchio spazia molto per riuscire ad abbracciare una materia tanto ampia e sfaccettata. Ricostruzione, cronaca, analisi e immaginazione si rubano in continuazione l’attenzione nella magistrale messa in scena della sceneggiatura realizzata insieme a Stefano Bises, Ludovica Rampoldi e Davide Serino. Una rappresentazione nella quale emergono subito sia il collegamento al film precedente, del quale questa operazione si presenta come complementare e simmetrica insieme (considerati l’incipit e il finale), sia l’esplicita condanna di un establishment “incompatibile” con l’immagine morale e politica che si era costruito.

È quasi rabbiosa la dichiarazione iniziale di un Moro deluso dai suoi amici e indignato con i suoi stessi colleghi di partito (bipolari e serpentini, vili o ipocriti), al punto da sottolineare la “gratitudine” nei confronti dei suoi carcerieri. Visti anche qui nella loro umanità, più capaci forse di riconoscere gli errori di una strategia senza sbocchi, contrapposta a quella – parimenti sbagliata, secondo alcuni volutamente – di una Decision Room composta da piduisti e fascisti, di certo (come anche gli Stati Uniti) poco propensi a trattare con una formazione di matrice comunista, pur sempre più isolata dal resto della propria galassia di riferimento (come mostrano anche le immagini delle tante manifestazioni di piazza dell’epoca).

In Esterno Notte, DC e BR risultano così come due creature grottesche, prossime a riscoprirsi anacronistiche e schiave del passato. O di sogni che proprio in quel momento – come sottolinea Bellocchio – iniziavano a infrangersi. Non a caso, superati alcuni passaggi surreali che a qualcuno potrebbero suggerire suggestioni sorrentiniane, già dopo i primi episodi la realtà popolare irrompe nella dialettica e l’emozione cresce. Più che per i virtuosismi di un fin troppo ieratico Servillo o di una Buy dolente (entrambi troppo visibili rispetto ai loro personaggi), o per i momenti più duri dell’operazione Fritz (nome in codice dell’agguato in via Fani), per la semplice – e per questo ancor più potente e sentita – umanità della vittima designata. Quel Aldo Moro al quale il regista sentiva di dovere ancora qualcosa, e che ci restituisce finalmente e compiutamente come voleva, come un idealista meno rassegnato al tradimento che al confronto con la sua esplicita e dichiarata paura di morire.

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