L’albero è un tutt’uno con la terra in cui affonda le radici e la sua vita le appartiene. Crescendo, tende ad allontanarsi da essa, ma le sue radici continuano a trarre forza da lei, in un legame indissolubile.
Amaia (Iraia Elias) è un’artista che si occupa di videoarte nata e cresciuta in un Baserri, una fattoria tradizionale nel mondo rurale in una zona non meglio precisata dei Paesi Baschi. Il casale è il pianeta attorno al quale ruota la sua vita, quella dei suoi genitori, dei suoi fratelli e della sua Amama Juliana, la nonna. Amama (Amparo Badiola) sembra portare sul suo volto la memoria di secoli vissuti nei boschi che circondano la fattoria, che ha deciso di donare a suo figlio Tomàs, padre di Amaia. Mentre il mondo sembra richiamare l’attenzione dei suoi figli, Tomàs (Kandido Uranga) continua a lavorare nei campi, volontariamente imperturbabile nei confronti di ciò che accade attorno a lui e chiuso nel suo lavoro e nella sua vita, dove non c’è spazio che per la splendida terra in cui è immerso.

Chiuso in ferrei valori tradizionali, Tomàs si ostina a non vedere un valido motivo nella volontà dei figli di estrarre le radici dalla loro terra e non crede alle vie di mezzo: non c’è, per lui, un modo per portarsi la propria terra dovunque si vada, se non quello di starci ancorato per sempre, nutrendosi dei suoi frutti e dedicandogli sovrumana devozione. Il dialogo tra la natura e l’uomo si fa materia nella sapiente scelta della miscelazione di suoni e immagini, che rendono il film un’esperienza quasi tridimensionale. In alcuni momenti ci sembra di riuscire a sentire l’odore della terra del bosco, a camminare accanto ad Amaia, a toccare gli spessi arbusti che lo popolano. Quello della natura, quello dell’arte è un mondo dominato da uno strano equilibrio in cui le parole non sono contemplate, e l’istinto la fa da padrone.
Non è possibile trasmettere a parole quello che Amama, film vincitore del Premio Irizar del Cinema Basco e Menzione speciale del Premio Signis all’ultima edizione del Festival di San Sebastian, riesce a dire allo spettatore. Asier Altuna si diverte a catturarci con la bellezza disarmante e algida delle immagini e ci lascia vagare quasi liberamente negli spazi in cui ci ha persuaso a restare.
Un film che parla dell’appartenenza dell’essere umano alla vita, governata da equilibri instabili eppure indistruttibili. Vita e natura, natura e arte si fondono e tutto ciò che accade nel frattempo sembra essere frutto di un unico grande disegno.

