Campo Grande è il film adatto per competere in un festival medio dalla risonanza internazionale. Anche se non è questo il contesto- e il senso- della festa del Cinema di Roma, la pellicola di Sandra Kogut, presentata nella categoria Alice nella Città, gioca sulla “furbizia dei sentimenti”, raccontando la storia di due bambini, fratello e sorella, Ygor e Rayanne, abbandonati dalla madre Ana davanti al portone di casa della ricca signora Regina, presso la quale prestava servizio la nonna dei bambini Maria. Da questo episodio partono le ricerce per trovare la madre scomparsa, in un viaggio fisico ma soprattutto umano, tra i dedali della “faccia triste” del Brasile moderno.
La pellicola non aggiunge nulla di
nuovo al classico topos dell’infanzia maltrattata:
scegliere di raccontare una storia di abbandono, degrado, povertà e
desolazione attraverso gli occhi- e i sentimenti- dei piccoli
protagonisti è una scelta che sicuramente ha un passaggio
privilegiato per il cuore degli spettatori, ma allo stesso tempo
non brilla di luce propria ma, anzi, del riflesso sbiadito delle
mille storie perse nella crudele realtà. Una vicenda del genere è
talmente ancorata alla realtà da restare sospesa nel limbo vitreo
tra la vita e il documentario, un non- luogo dove al film non è
permesso di svilupparsi fino in fondo; forse anche per colpa di una
sceneggiatura discontinua appesantita da bruschi “vuoti logici”,
pause nello spazio- tempo narrativo- e brusche cesure visive- che
disorientano lo spettatore abbandonandolo nel caos delle emozioni e
dei drammi dei quattro protagonisti: due fratelli che non hanno
nient’altro al mondo se non loro stessi (anche sul piano
affettivo) e una coppia speculare madre- figlia (Regina e Lila)
alle prese con una prova diffciile che la vita ha posto loro
davanti: un divorzio e un trasloco, il brusco passaggio da una
condizione ad un’altra.
Il grande pregio di Campo Grande è sicuramente quello di mostrare, con un occhio scarno e diretto, senza grandi movimenti di macchina pronti a camuffare la realtà, uno spaccato profondo di un paese lacerato dalle sue contraddizioni, sospeso tra un’aggressiva conquista della modernità e del benessere e una povertà- umana e fisica- dilaniante, dove il degrado economico e sociale si accompagna a quello dei sentimenti, travolti da un impotente senso di disperazione.