L’America del Sud continua a configurarsi come un territorio innovativo e sperimentale, anche quando fa solo da sfondo alle idee immaginifiche di un regista olandese come Gust Van Den Barghe e alla sua particolare rilettura della cosmogonia dantesca.

Film pregevole e ricco di spunti di riflessione filosofici, letterari e religiosi, restituisce la stessa sensazione visiva di un incontro tra un quadro fiammingo di Bosch e le atmosfere dei ritratti di Frida Kahlo: il paesaggio vulcanico, suggestivo e fuori dal tempo, del villaggio messicano viene immortalato e circoscritto nella bellezza dell’inquadratura “tonda”, un formato circolare che Van Den Barghe ha deciso- coraggiosamente- di adottare perché, a parer suo, lo spazio ultramondano è circoscritto e vede il Paradiso al suo centro. però, nonostante dei presupposti di partenza interessanti, Lucifer rimane vittima proprio dei suoi punti di forza, trasformandosi in una pellicola ermetica per intellettuali ed appassionati: il formato circolare dopo 110′ stanca lo sguardo dello spettatore, la fotografia che in alcuni momenti rasenta la bellezza visiva e visionaria di un’opera fiamminga è suggestiva ma controbilanciata da un messaggio sotteso troppo criptico da decifrare dopo una semplice visione. Si presenta, insomma, come un film pretenzioso ben lontano dai felici esiti visivi del Faust di A. Sokurov, ad esempio.
