Fratelli d’Italia

Fratelli d’Italia – Tre storie di tre adolescenti immigrati che frequentano l’Istituto Tecnico Toscanelli di Ostia, tre vite raccontate in 90 minuti nel documentario di Claudio Giovannesi, regista di “La casa sulle nuvole” e del documentario “Welcome Bucarest”. Alin Delbaci, 17 anni, rumeno, vive in Italia da quattro anni, ha un rapporto difficile con i compagni di classe e con la professoressa di italiano.

 

Masha Carbonetti, 18 anni, bielorussa, è stata adottata quando aveva 4 anni da una famiglia italiana, si è integrata completamente nella nostra società, ha da poco ritrovato il fratello e vorrebbe andarlo a trovare in Bielorussia. Nader Sarhan, 16 anni, di origine egiziana ma nato a Roma, oltre ad avere problemi scolastici deve affrontare l’ostilità dei genitori (fortemente legati alla loro religione e molto tradizionalisti) che non accettano il suo legame con una ragazza italiana.

Fratelli d’Italia

Sicuramente il tema trattato, i problemi di integrazione legati anche ai classici problemi adolescenziali che rendono ogni ragazzo uguale anche se di nazionalità differente, è molto attuale e molto interessante, soprattutto per il modo in cui è trattato. Non c’è una trama, una sceneggiatura da seguire che rischia di non essere realistica, ma è un racconto di vite vere, un girato di mesi e mesi, tagliato ed adattato per il grande schermo che segue passo passo i protagonisti del documentario. Un grande fratello, che ha si dei problemi di audio e di fotografia, ma che riesce a tenere alta l’attenzione, a portare gli spettatori ad immedesimarsi con i ragazzi e cercare di capire i loro problemi e i loro pensieri. Certo il modo di affrontare il tema è originale o quanto meno poco visto in Italia, un documentario che non solo spiega il problema dell’integrazione (che a quanto pare non è tanto posto dai giovani italiani, quanto piuttosto dall’idea che gli immigrati hanno di noi italiani e di come si pongono nei confronti della società), ma mostra anche come la scuola cerca di aiutare questi ragazzi e come i loro problemi somiglino a quelli di qualsiasi altro ragazzo adolescente. Alin per esempio non vuole comunicare con i suoi compagni di scuola ne tantomeno con la professoressa di italiano, sono loro invece che cercano in tutti i modi di parlare con lui e di farlo ragionare; mentre, nella storia di Nader sono i genitori di lui, che essendo islamici tradizionalisti, non vogliono mischiare la loro cultura con la cultura italiana. Masha invece, ormai pienamente integrata, cerca di ascoltare i consigli di genitori e insegnanti per affrontare il suo problema, che non è solo quello di partire per la Bielorussia ma anche quello di un ragazzo geloso che non la vorrebbe far partire da sola.

Beh, quale ragazzo non ha avuto problemi con la scuola? Chi non ha mai litigato con i professori? Chi non ha mai discusso con i proprio genitori per il/la ragazzo/a? Insomma ragazzi come gli altri ma con in più il problema dell’integrazione, ma tutti e tre aiutati e supportati dalla scuola e dalle proprie famiglie. Anche se a volte sembra che la storia sia forzata o quantomeno ci sia lo zampino del regista che sperava in qualcosa in più (anche se lo stesso Claudio afferma che di forzato non ci sia niente o comunque nulla di rilevante) non risulta essere un problema, non è un aspetto negativo che distrugge la credibilità del documentario. Credibilità che risulta non solo  dalle modalità di ripresa ma anche dal linguaggio (a volte anche molto forte!) e dai fatti raccontati (basta pensare alla scena dove Nader afferma di essere razzista!). In conclusione quindi si può dire che sia un ottimo lavoro che, anche se girato con pochi mezzi e con un badget limitato, è interessante e a tratti anche divertente, una piacevole novità che si spera abbia il successo che merita.

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