I Am Michael: recensione del film con James Franco

I Am Michael

Basato sulla storia vera di Michael Glatze, I Am Michael, che ha fatto il giro dei festival di tutto il mondo – dal Sundance a Berlino approdando al Biografilm Festival di Bologna – non parla solo del rapporto tra omosessualità e religione ma anche e soprattutto della spinta universale a cercare un proprio posto nel mondo.

Attivista impegnato ad aiutare le generazioni più giovani ad accettare la propria sessualità, Glatze, incarnato da James Franco, è alla fine degli anni Novanta una delle firme di XY Magazine, pubblicazione di riferimento per i giovani omosessuali americani con base a San Francisco. Michael lascia però la città californiana per seguire ad Halifax, in Canada, il compagno Bennett (Zachary Quinto), con il quale co-fonda la nuova rivista Young Gay America e gira un documentario su adolescenti e coming out, nel quale alcuni ragazzi confessano il disagio di vivere quotidianamente il contrasto tra la propria omosessualità e il proprio credo religioso.

Da sempre convinto che l’orientamento sessuale non debba definire in maniera esclusiva l’identità di una persona, dal 2004 Glatze inizia a riconsiderare la propria esistenza per un insieme di ragioni personali, sentimentali e di salute, fino a rinnegare completamente la propria omosessualità nel 2007, diventando un pastore cristiano dalle convinte posizioni anti-gay. A raccontare un percorso che si muove tra estremi così netti è Justin Kelly, autore della sceneggiatura insieme a Stacey Miller e a Benoit-Denizet-Lewis, che scrisse per il New York Times Magazine l’articolo che ha ispirato il film, dal titolo Il mio ex-gay amico. Nome tutelare del progetto è Gus Van Sant, produttore esecutivo del film.

I Am Michael si prende il rischio di rappresentare la fluidità dell’identità umana, senza mai esprimere giudizi sulla radicalità della conversione di Glatze e tentando di spiegarne l’evoluzione psicologica. Lo sguardo neutrale è il pregio ma anche il principale difetto del film, che resta distante e “freddo” dalla materia e risulta schematico nella narrazione, frammentata in capitoli che ricostruiscono cronologicamente i fatti sino all’avvicinamento del protagonista alla Bibbia e al cristianesimo praticante. Il film, che annovera nel cast anche Emma Roberts e Charlie Carver, si appoggia alla buona prova di James Franco, capace di esprimere il senso di dubbio, la confusione e il tormento provati dal personaggio, a dispetto delle certezze pronunciate in pubblico o sul blog.

Nel delineare la conversione di un’attivista gay in un fondamentalista cristiano, I Am Micheal apre interrogativi importanti sulla mutevolezza dell’identità e sul rapporto tra omosessualità e fede, ma non riesce a elevarsi dal semplice biopic, scavando nelle zone d’ombra e di ambiguità offerte dalla storia.

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