Nel 2018 si chiedeva Che fare quando il mondo è in fiamme?, ma già con i film precedenti (Ferma il tuo cuore in affanno, Louisiana) Roberto Minervini era riuscito ad attirare l’attenzione degli appassionati di cinema di tutto il mondo, grazie a uno sguardo mai banale e a uno stile particolare, che lui stesso riconosce come “documentario di creazione”. Un approccio che per la prima volta ha deciso di cambiare, con un film di finzione, per altro in costume, che presenta in anteprima al Festival di Cannes 2024 nella prestigiosa sezione di Un Certain Regard. La Lucky Red che lo distribuirà in Italia non ha ancora fissato una data di uscita, ma il suo I dannati si è già conquistato un proprio spazio, per l’universalità del tema affrontato e per la capacità di raggiungere il pubblico moderno anche parlando di una guerra di due secoli fa, messa in scena alla sua maniera.
I dannati, la trama
Inverno 1862. Nel pieno della Guerra Civile Americana, una compagnia di soldati volontari dell’esercito dell’Unione viene inviata nei territori occidentali con il compito di pattugliare le terre inesplorate dell’Ovest e di presidiare il confine. Ma quando qualcosa cambia e la loro missione viene messa in discussione, anche il loro senso del dovere e il significato ultimo dello stesso viaggio iniziano a esserne condizionati, evidenziando qualcosa che forse non avrebbero mai riconosciuto da soli, o ammesso.
Tra documentario di creazione e finzione
Presentato esplicitamente come “una sfida nuova” dal regista, il nuovo film di Roberto Minervini continua a mostrare in maniera evidente il marchio di fabbrica del marchigiano. Che dopo i vari Bassa marea, Ferma il tuo cuore in affanno, Louisiana, Che fare quando il mondo è in fiamme? sposta l’ago della bilancia senza abbandonare però del tutto quello spazio ibrido a lui tanto caro che è il “documentario di creazione”. Anzi.
Un film di finzione, il primo, anche se condizionato ampiamente da una lavorazione che sembra essersi avvicinata di molto alle precedenti, eppure storico, in costume – queste sì, novità di rilievo nella sua cinematografia – e insieme realistico, duro, “intimo”, come ci tiene a sottolineare proprio Minervini.
Che in I dannati (The Damned) torna a raccontare la gente comune prima ancora che la prima linea del conflitto, a mettere in scena quei territori di frontiera e quegli esclusi, disperati, ignoranti, ai quali spesso ha dato spazio nella sua filmografia. Vittime di una abitudine alla rassegnazione, alla non libertà di sviluppare un pensiero proprio e indipendente. A meno di non trovarsi lontani da qualsiasi contesto o condizionamento e di avere a che fare con l’essenza stessa della vita, e con la morte.
I dannati della guerra, di tutte le guerre
In questo senso la dura quotidianità e le condizioni (nelle quali anche si sono svolte le riprese) di vita dei pochi personaggi in scena diventano facilmente innesco per una riflessione sulla guerra, su tutte le guerre, anche quelle in corso intorno a noi, alle quali i dialoghi sembrano riferirsi esplicitamente, per quanto gli orrori di queste e quelle siano talmente simili da rendere spontanea la forzatura da parte dello spettatore.
Dannati e condannati insieme, i protagonisti di questo dramma silenzioso e rarefatto, finiscono per perdere i propri connotati. Forse troppo, per quanto comprensibilmente. Ché lo sfumarne i contorni (analogamente a quelli dell’immagine sullo schermo) senza dubbio li rende universali, ma anche li assomiglia a dei figuranti di una rievocazione storica, finendo con il rendere poco naturale immedesimazione ed empatizzazione, pur senza indebolire di una virgola il loro valore simbolico