I, Tonya: recensione del film con Margot Robbie

I, Tonya

Il 6 gennaio 1994, Nancy Kerrigan, pattinatrice di figura in procinto di partecipare alle Olimpiadi Invernali, viene aggredita e le viene spezzato un ginocchio. La FBI non ci metterà molto a risalire ai colpevoli e a Tonya Harding, altra pattinatrice, anche lei proiettata verso la competizione. I, Tonya racconta di questo fatto di cronaca, facendone il culmine di una biografia intelligente e graffiante, dedicata all’atleta interpretata da Margot Robbie, qui anche in veste di produttrice.

 

Alla regia Craig Gillespie (esordio con Lars e una ragazza tutta sua) che sceglie di intrecciare le interviste, realmente rilasciate dai principali protagonisti della vicenda (ricostruite con gli attori), ai fatti. Margot Robbie, balzata agli occhi del mondo con prepotenza dopo The Wolf of Wall Street, sfodera le sue qualità più autentiche che esulano dalla sola bellezza.

L’attrice australiana si trasforma, prima che fisicamente, nei gesti e nei movimenti, nella voce e nell’accento, per portare in vita una figura controversa, un’atleta e una cialtrona, una combattente e una vittima, una donna complessa come la sua storia personale, continuamente tesa tra la violenza della sua sfera privata e la disciplina, la grazia, l’eleganza del pattinaggio, caratteristiche che per lei hanno sempre rappresentato un ostacolo importante. Una trasfigurazione, quella della Robbie, che parte dall’interno e arriva alla frangetta cotonata anni ’90 e alle fattezze fisiche, leggermente più massicce rispetto a quelle che madre natura le ha dato.

I, Tonya, il nuovo film di Craig Gillespie

Cresciuta in una famiglia modesta, Tonya ha dovuto fronteggiare da subito una madre despota, che sembrava non nutrire alcun amore per la bambina e la ragazza, un’altra donna controversa, interpretata da Allison Janney, alla prova con un ruolo sgradevole e scomodo.

Sotto l’occhio di Gillespie, il racconto procede spedito, serrato, con diversi momenti in cui si rompe la quarta parete e i protagonisti si rivolgono allo spettatore, continuamente chiamato in causa a testimone del fatti. Un tono che a tratti diventa commedia nera, a tratti assume le vesti di un heist movie sbilenco, con personaggi surreali eppure basati su persone che hanno effettivamente agito come si vede nel film.

La donna e l’atletaI, Tonya

Il fatto di cronaca, culmine della seconda parte del film, diventa la conclusione di una vicenda sportiva che nemmeno per un minuto smette di essere anche umana. Tonya ha dovuto fronteggiare per tutta la sua vita violenza e sofferenza, abituata soltanto a questo tipo di contatto umano e a dinamiche dispotiche. Una pressione che una persona normale non riuscirebbe mai a sopportare, una solitudine estenuante per ogni persona comune, ma che gli atleti che si giocano anni di allenamento in pochi minuti conoscono bene.

Il film è il ritratto di una donna che non riesce a “stare al gioco”, non riesce a scendere a patti con le regole di apparenza e perbenismo. Un’atleta senza costumi costosi, una donna senza una famiglia tradizionale e armoniosa non può vincere e rappresentare gli USA di fronte al mondo. Poco importa che sia stata la prima donna, nella storia del pattinaggio americano, ad eseguire un triplo axel.

I, Tonya e la determinazione di Margot Robbie

I, Tonya pone un forte accento su questo aspetto, lasciandolo continuamente a fare da sfondo a tutta la vicenda. Il film insiste sull’indigenza in cui è cresciuta la protagonista, sull’impossibilità di avere le stesse chance di chi invece, magari meno dotato, nasce in un contesto benestante.

Oltre al privato, Gillespie mette così in scena anche il pubblico, il sociale, caricando ulteriormente la storia di spessore. Ma basterebbe già solo lo stile adottato, le performance, l’assurdità della vicenda, la scrittura, per rendere I, Tonya un prodotto non solo valido, ma brillante, onesto, brutale. Questo e la determinazione di una Margot Robbie che si rivela davvero una scoperta (o una conferma?) portentosa.

L’America vuole qualcuno da odiare o da amare

Ma non si fa in tempo ad archiviare uno scandalo che la stampa già corre dietro ad altro, dimostrandosi la vera e propria history maker del nostro tempo. Mentre le troupe televisive accampate fuori dalla casa di Jeff Gillooly (ex marito, interpretato da Sebastian Stan) smontano le proprie attrezzature, prima che i condannati vengano portati in prigione, la tv manda le immagini dell’arresto di O.J. Simpson.

Era il giugno del 1994, appena sei mesi dopo l’aggressione subita da Nancy Kerrigan, e l’attenzione dell’America si concentrava sul più grande scandalo della sua storia, fino a quel momento. Perché gli americani vogliono qualcuno da amare, vogliono qualcuno da odiare, e vogliono che sia semplice farlo.

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