Il Faraone, il Selvaggio e la Principessa, recensione del film di Michel Ocelot

La recensione de Il Faraone, il Selvaggio e la Principessa, nuovo film d'animazione del regista francese Michel Ocelot.

Il Faraone il Selvaggio e la Principessa

Michel Ocelot torna a dedicarsi all’animazione quattro anni dopo il suo ultimo film, Dililì a Parigi (2018), con Il Faraone, il Selvaggio e la Principessa, presentato nell’ambito di Alice nella Città in occasione della Festa del Cinema di Roma. Con questa sua ultima prova, il regista fa ritorno allo stile narrativo che ha sempre prediletto: il segmento breve, a cui ha dato forma tramite serie televisive e cortometraggi solo in secondo luogo inglobati in lungometraggi diventati ormai celebri, tra cui Principi e Principesse (2000) e I Racconti della Notte (2011).

 

Il Faraone, il Selvaggio e la Principessa: la trama

Ai tempi dell’Antico Egitto, un giovane re diventa il primo faraone nero a meritare la mano della sua amata. Nel Medioevo francese, un misterioso ragazzo selvaggio ruba ai ricchi per dare ai poveri. Nella Turchia del XVIII secolo, un principe che cucina meravigliose frittelle e la principessa delle rose fuggono dal palazzo per vivere il loro amore.

Con questa nuova opera di Ocelot, ci distacchiamo dalla sperimentazione di Kirikù e la strega (1998), vero e proprio spartiacque nell’animazione francese o Azur e Asmar (2006), per fare ritorno a un progetto audiovisivo che vede nella suddivisione per racconti il mezzo perfetto per unire la tradizione orale del racconto ai mezzi di fruizione tipici della contemporaneità.

Non ci sono gli ormai iconici proiezionisti, ma una narratrice-cantastorie che ravviva l’atmosfera di un cantiere di lavoro catturando gli operai con racconti esoterici, lontani nel tempo e nello spazio, parentesi ludiche in cui rifugiarsi dalle fatiche di ogni giorno. Per Ocelot, le storie sono soprattutto questo: il ponte tra passato e presente, l’attimo di sperimentazione inafferrabile in cui possiamo diventare chi vogliamo, vestirci con gli abiti che più ci affascinano e confidare sempre nella giustizia di un lieto fine.Il Farone il Selvaggio e la Principessa

Poca attualità ma un’immensa bellezza visiva

Siamo di fronte a un’opera meno ambiziosa di Didilì a Parigi, sicuramente più convenzionale nel modo in cui si aggancia alla tradizione stilistica del regista, ma non per questo meno interessante. Laddove è possibile tracciare delle chiavi di lettura comuni tra i tre segmenti narrativi, fulcri tematici archetipici delle fiabe e della filmografia di Ocelot – la parabola di riscatto, la perseveranza che conduce agli obiettivi, il bigottismo genitoriale contrapposto all’intraprendenza giovanile – ogni storia presentataci si differenzia per registro linguistico e linee di disegno, adattandosi perfettamente all’atmosfera in cui è inserita.

L’animazione 2D portata avanti con orgoglio da Ocelot si rivela il mezzo perfetto per sondare le potenzialità grafiche di ogni racconto; dalla bidimensionalità quasi geroglifica de “Il faraone” si passa alle tonalità cupe e alle architetture gotiche de “Il selvaggio”, episodio ambientato nel medioevo, per culminare con le linee arabeggianti de “La principessa”, un tripudio di colori e scenografie dinamiche.

Il richiamo all’attualità, la capacità di adattamento a un’universo animato che sta dando tanto negli ultimi anni – è doveroso citare il Cartoon Saloon di Tomm Moore, Paul Young e Nora Twomey – ne Il Faraone, il Selvaggio e la Principessa è forse più debole rispetto ad altre opere di Ocelot. Sembra difficile trovare una collocazione adatta a questa micro raccolta di racconti, quando il mezzo animato è ormai diventato uno dei canali privilegiati per la riscoperta della pluralità culturale di tantissime aree geografiche, distanziandolo dall’attinenza fiabesca che gli è sempre stata affibbiata e piegandolo a un’urgenza creativa che ha indubbiamente a che fare con l’oggi.

Nonostante ciò, la qualità tecnica del cinema di Ocelot rimane indubbia: Il Faraone, il Selvaggio e la Principessa è uno spettacolo per gli occhi e sfrutta ogni potenzialità circostanziale per delineare al meglio uno scenario visivo e narrativo in cui la fiaba vuole ancora, prepotentemente, esistere. In cui è ancora un veicolo di comunicazione, non importa se tra lo ieri e l’oggi, se tra noi e gli altri o se tra tradizioni culturali differenti, che trovano nelle analogie caratteriali dei loro protagonisti il modo migliore per garantirne l’ascolto.

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