Il pezzo mancante: recensione del documentario

Il pezzo mancante

Il pezzo mancante, in concorso al 28° Torino Film Festival, parla della famiglia Agnelli, ma vuole farlo in maniera particolare.  Il documentario del navigato Giovanni Piperno non si muove come un’inchiesta giornalistica, né va alla ricerca di una rappresentazione della famiglia come un pezzo d’Italia, e nemmeno cerca di mostrare i fasti di quella che è stata per un secolo la famiglia più importante d’Italia. Quello che il film cerca di fare, e con successo, é raccontare allo spettatore la sensazione dei lutti, i dolori e le angosce di una famiglia che ha nascosto, a se stessa prima ancora che al pubblico, tutto ciò che non era forte, elegante e sicuro come la Fiat, un’azienda dominata dalla gerarchia.

 

Gli Agnelli sono una casta i cui membri non possono sbagliare, dove tutti coloro che non sono abbastanza forti devono essere cancellati: il pezzo mancante è la parte più sensibile della famiglia, quella che si è fermata a riflettere su ciò che l’azienda stava facendo. Il pezzo mancante è l’equilibrio, soprattutto quello mentale di chi ha messo in conto di non potersi mai lasciarsi prendere dal sentimentalismo, «Gianni non ha mai mostrato il dolore che portava dentro per la morte del figlio», così Taki Theodoracopulos. Ma non si tratta del caso sporadico di un personaggio, anche Susanna, sorella preferita dell’Avvocato, viene ricordata come una donna che aveva represso i suoi sentimenti. Il pezzo mancante ogni tanto esce fuori, e così fanno capolino l’immagine del fratello Giorgio, intelligente, sveglio, troppo sensibile, rinchiuso in  un manicomio in svizzera dove morirà nel 1964. O come un figlio troppo simile allo zio, Edoardo, sul quale si concentra gran parte del film. Penetrante, accorto, molto sensibile anche lui, come lo zio con cui ha condiviso la triste fine, Edoardo era appassionato delle culture del mondo, andava spesso in medio oriente, salutava tutti, camminava tra la gente, non aveva paura di essere rapito, cercava qualcosa in più del «mito dell’accumulo del denaro, vera malattia dei giorni nostri».

Gelasio Gaetani, caro amico di Edoardo, ripercorre i suoi ricordi per tutto il film con i commenti che si aggiungono a quelli di altri amici e parenti della famiglia torinese, tra cui le parole sentite di Marta Vio, compagna d’amore di Giorgio. Il trade union stilistico del film sono piccoli spot e filmati del ‘CineFiat’, che intervengono di tanto in tanto come veri e propri break nella storia, inquietanti e particolari così come gli stacchetti realizzati con l’animazione al computer, e i lunghi carrelli laterali di una fabbrica e una famiglia che non si è fermata mai.

Peccato che il film ogni tanto si perda dimenticando di mostrare quei pezzi degli Agnelli, forse meno di spicco, che avrebbero potuto essere la chiave tra i personaggi che tutti conosciamo bene e i ‘pezzi mancanti’. Ma i tempi sono giusti e le immagini sembrano voler parlare da sole.

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