Io sono tuo padre, la recensione del film storico con Omar Sy

L'attore di Quasi amici è disposto a tutto per salvare il figlio, arruolato a forza

Io sono tuo padre recensione

Dopo aver inaugurato l’Un Certain Regard del Festival di Cannes 2022, arriva nei cinema italiani il secondo film di Mathieu Vadepied, Io sono tuo padre, distribuito da Altre Storie con Minerva Pictures. Dal 24 agosto avremo dunque l’occasione di ritrovare l’Omar Sy di Quasi amici in un ruolo inusuale per quanti fossero abituati a vederlo in commedie o avventure di vario tipo, fino all’ultimo Jurassic World – Il dominio. E’ lui il genitore disposto all’estremo sacrificio in una storia dalle radici tanto drammatiche quanto reali, che rende ancora più discutibile l’avventura coloniale francese del XIX secolo.

Io sono tuo padre: una guerra di famiglia

Al centro della vicenda che si svolge nel 1917, in piena Prima Guerra Mondiale, il senegalese Bakary Diallo (Omar Sy), arruolatosi nell’esercito francese per raggiungere Thierno (Alassane Diong), il figlio diciassettenne reclutato contro la sua volontà. Inviati al fronte, padre e figlio dovranno affrontare insieme la guerra. Bakary farà di tutto per evitare che suo figlio combatta per riportarlo a casa sano e salvo, ma l’ardore del tenente Chambreau (Jonas Bloquet) spinge per condurlo nel cuore della battaglia e allontanarsi dal genitore. Thierno sarà diviso tra il rispetto per il padre, l’onore di combattente e l’obbedienza agli ordini. La sua emancipazione lo renderà un uomo, ma a quale prezzo?

Niente di nuovo sul fronte occidentale

Come nel premiatissimo film di Edward Berger dell’anno scorso, si torna sul fronte simbolo dell’assurdità della guerra, in questo caso la Prima “mondiale”, per raccontarne un crimine nel crimine, quello perpetrato ai danni dei duecentomila soldati africani chiamati a combattere per la Francia, molti dei quali (trentamila, pare) non tornarono affatto. E che il regista ricorda e omaggia nella storia esemplare del tirailleur protagonista.

Io sono tuo padreCon questo termine, scelto per il titolo originale, si indicavano i fucilieri della fanteria indigena che l’esercito francese reclutava nelle colonie per far loro combattere le proprie guerre, ancora nella Seconda Guerra, quando furono addirittura centocinquantamila. Un peccato che nella traduzione si perda la radice storico-politica del film a favore della vicenda raccontata e del dramma di un padre e un figlio, meno avvincente per quanto forte nel suo far leva sull’umanità e la capacità di empatizzare dello spettatore.

Eppure lo stesso regista (già Direttore artistico proprio di Quasi amici)) aveva dedicato il suo film d’esordio La vie en grand a un’altra storia di un giovane di origine senegalese, e il protagonista ha voluto partecipare al budget di 14 milioni di euro con la sua compagnia di produzione Korokoro, al fianco della Unité di Bruno Nahon, Gaumont e France 3 Cinéma. Una condivisione ideale in primis, che potrebbe aver distratto i realizzatori dal risultato finale, nonostante la cura nella costruzione delle scene e non solo (le musiche sono di Alexandre Desplat).

E la narrazione stessa nel suo complesso, nei suoi snodi, nei conflitti dai quali dovrebbe essere costituita, fino alla risoluzione finale, poco sorprendente e accompagnato da un epilogo ancor più didascalico, per quanto interessante, tra il cronachistico e l’elegiaco. Nonostante un ritmo altalenante e delle carenze nel bilanciamento generale, tutto concorre a rendere il film meritevole di esser visto, per il tema trattato e per i momenti affidati ai due protagonisti, chiamati a confrontarsi in conflitti mai realmente esplosi. E forse la parte più interessante di questo lungo racconto di dolore e disumanità è proprio il rimando al sacrificio dei tanti che ancora oggi sono costretti dalla disperazione – e dall’amore per i figli – ad assumersi a rischiare la morte.

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RASSEGNA PANORAMICA
Mattia Pasquini
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io-sono-tuo-padre-omar-syE la narrazione stessa nel suo complesso, nei suoi snodi, nei conflitti dai quali dovrebbe essere costituita, fino alla risoluzione finale, poco sorprendente e accompagnato da un epilogo ancor più didascalico, per quanto interessante, tra il cronachistico e l'elegiaco.