Negli ultimi trent’anni a numerose attrici è stato affidato il compito di interpretare al cinema una delle figure più iconiche ma allo stesso tempo anche più enigmatiche del Novecento: Jackie Kennedy. Da Jodie Farber (JFK di Oliver Stone) a Katie Holmes (la miniserie I Kennedys), autori e registi hanno provato ad immortalare sul grande schermo la storia di un autentico e colossale mito, Jackie. Nessuno però era mai arrivato ad offrire una versione inedita ed estremamente personale sulla vita dell’ex First Lady statunitense come Pablo Larraín.
Alla sua prima produzione americana, l’acclamatissimo regista e sceneggiatore cileno – noto per la “trilogia della dittatura” (Tony Manero, Post Morten e No I Giorni dell’Arcobaleno) e per il più recente Il Club, si addentra in territori che nessun cineasta aveva mai avuto il coraggio di esplorare, al limite tra realtà e finzione, tra dolore pubblico e privato.
ùAbbattendo qualsiasi regola e aggirando tutte le insidie e le banalità dei biopic tradizionali, Larraín mette da parte l’intera vita di Jackie Kennedy per focalizzarsi unicamente su quella mattina del 1963 che cambiò per sempre il mondo, quindi sui quattro giorni successivi alla morte di John F. Kennedy, 35esimo presidente degli Stati Uniti. Quello che ne deriva è un ritratto doloroso, assai cupo, seducente in ogni singolo fotogramma, di una donna colta nel triplice ruolo di moglie, madre e vedova che il regista racconta attraverso uno stile sontuoso ed elegante, conferendo alla figura di Jackie (soprattutto grazie all’utilizzo dei primi piani e alla meravigliosa fotografia di Stéphane Fontaine) ancora più magnetismo.
La narrazione prende forma attraverso un’intervista durante la quale Jackie ricorda con lucidità mista a disperazione quei tragici momenti: dalla corsa in ospedale, all’organizzazione del funerale, alla vita per le stanze e i corridoi della Casa Bianca che l’occhio di Larraín riprende come un labirinto intriso di paura e tormento nel quale incastonare una figura che, al di là dell’eleganza, della sofisticatezza e dell’estrema riservatezza, forse per la prima volta diventa umana, vittima di una sofferenza lancinante, preoccupata per i due figli da dover proteggere, oppressa dagli occhi del mondo ancora una volta puntati su di lei.
A dare anima e corpo a questa creatura tanto splendida quanto contraddittoria, una Natalie Portman in assoluto stato di grazia, incantevole nei panni di Jackie Kennedy, struggente in quelli di Jackie, regina detronizzata, senza marito e senza corona.
Prodotto da Darren Aronofsky (Il Cigno Nero, Noah), Jackie è un’opera ammaliante che rasenta la perfezione nel suo mostrare e svelare una delle figure femminili più amate ma anche misteriose della storia; una donna osannata e forse mai realmente compresa, “che non aveva mai sognato la celebrità, ma che era diventata semplicemente… una Kennedy”.