Spesso il trailer di un film è ingannevole, per questo bisognerebbe evitare di guardare il video promozionale del film, prima di andarlo a vedere. È quello che succede con La dolce arte di esistere. Il film di Pietro Reggiani (L’Estate di mio fratello, Asino chi legge) è una ventata d’orginalità che resiste all’appiattimento di un certo cinema italiano.
Roberta e Massimo soffrono di “invisibilità psicosomatica” una patologia ufficialmente riconosciuta nel mondo in cui si muove il film, che li rende letteralmente invisibili, l’una quando si sente trascurata e ignorata, l’altro quando è al centro dell’attenzione.
La scelta narrativa di
mettere da parte l’eccezionalità oggettiva che risiede nella
capacità di diventare invisibili, rendendola una malattia
riconosciuta, dà la possibilità di entrare nell’intimo dei
personaggi. Quello di Roberta e Massima è un intimo che, data
l’origine della patologia, non si esplica del tutto nelle relazioni
con gli altri personaggi, ma si svolge soprattutto nella testa dei
protagonisti e deve quindi essere portato al di fuori di loro per
poter essere “visibile” allo spettatore.
Una sfida non facile che Reggiani vince brillantemente prima in sede di sceneggiatura, accompagnando i protagonisti con un’onnipresente voce narrante e riducendo all’osso i dialoghi; poi in sede di regia, dove riesce a calare gli attori in situazioni che si adattano alla perfezione al loro dialogo interiore, permettendogli di rendere materiali i pensieri pur non proferendo parola.
Il film, che il trailer fa sembrare uno spot che si protrae per un’ora e mezza, si rivela una dolcissima sorpresa. Divertente e intelligente, svela una qualità di scrittura poco comune anche se leggermente prolissa. Gli attori, quasi totalmente privati della parola e con il rischio di cadere in un ritratto macchiettistico del personaggio che pende su di loro come una spada di Damocle, riescono a superare la prova e a farci riflettere.
In uscita il 9 Aprile, La dolce arte di esistere è un film sul coraggio, quello che tutti dobbiamo riprometterci di avere ogni giorno, e sul mondo che ci circonda, soffocante e alienante allo stesso tempo. E, soprattutto, è un film sull’originalità e sui cosidetti “strambi”, quelli che ci salvano dall’etichettare e catalogare le sensazioni, le persone, l’arte e il coraggio dei cineasti italiani.