La Mano sulla Culla (2025), recensione: la tata torna a inquietare

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Michelle Garza Cervera prende il classico del 1992 e lo scuote fino a farne un thriller domestico contemporaneo, dove paura e politica convivono sotto lo stesso tetto. La sua La Mano sulla Culla non è semplicemente un remake: è un ribaltamento totale della storia, una riflessione sul potere, sul desiderio e sul controllo domestico. Polly (Maika Monroe) entra nella vita di Caitlin Morales (Mary Elizabeth Winstead) con la grazia di chi sa essere perfetta… troppo perfetta, e subito cominciamo a sospettare che qualcosa sotto quella calma apparente ribolle.

Il film apre con un flashback che è già piccolo capolavoro di inquietudine: una bambina bionda osserva impotente un incendio che divora una casa, un trauma che tornerà a tormentare il presente. E da qui, il racconto si sposta a due adulte bionde — il legame fra loro resta inizialmente oscuro, e il mistero diventa il primo strumento di tensione. La regia di Garza Cervera imposta subito un ritmo sinuoso: non siamo più nel puro thriller domestico anni ’90, ma in un mondo dove le paure tradizionali si mescolano a inquietudini contemporanee, da quelle di genere a quelle sociali.

Polly e Caitlin: un gioco di specchi e tensione

Maika Monroe conferisce a Polly una malinconia sottile, appena percettibile sotto la maschera della tata perfetta. È capace di sorridere con una gentilezza disarmante e, allo stesso tempo, di insinuare dubbi profondi nella mente di Caitlin. La sua presenza è magnetica: un passo dentro la casa di Caitlin è un passo in più verso il caos psicologico. Mary Elizabeth Winstead, dal canto suo, incarna Caitlin con cautela materna, oscillando fra orgoglio, ansia e un’irritante vulnerabilità che la rende immediatamente empatica. Il duo funziona perché si misura su più registri: tensione, controllo, desiderio e sospetto, tutto nello stesso piano.

Il film aggiunge un tocco contemporaneo: Polly e Caitlin condividono un sottotesto queer che non è mai esplicito fino in fondo, ma sempre abbastanza presente da generare curiosità, disagio e un brivido aggiuntivo. Il gioco di sguardi, la possibilità di attrazione, le tensioni familiari e i conflitti interni diventano strumenti narrativi potenti, sostituendo alla minaccia fisica l’inquietudine psicologica, quella che ti resta sulla pelle anche dopo i titoli di coda.

La mano sulla culla
La mano sulla culla – Cortesia Disney+

La manipolazione domestica come arte in La Mano sulla Culla

Ogni gesto di Polly è calibrato: le sue attenzioni ai figli, la comprensione dei desideri della madre, persino l’entusiasmo per le idiosincrasie culinarie o educative di Caitlin, sono strumenti di manipolazione sottile. È un lento avvicinamento, un’occupazione dello spazio psicologico e fisico della famiglia che il film mostra con eleganza attraverso riflessi, vetri e prospettive disorientanti. La casa moderna diventa un labirinto di sospetto: ogni finestra è uno specchio, ogni porta una possibile trappola.

Mileiah Vega, nei panni di Emma, è sorprendente. La figlia più grande, adolescente affamata di attenzione, diventa parte del gioco di Polly, inconsapevole pedina in una scacchiera emotiva e psicologica. La sua performance richiama le prime attrici capaci di rendere il disagio adolescenziale palpabile e allo stesso tempo funzionale alla tensione narrativa. La tensione domestica, qui, diventa quasi uno strumento musicale: cresce e scema, accelera e rallenta, e il ritmo instabile mantiene lo spettatore sempre sull’orlo del panico.

Suspense, camp e finali troppo seriosi

Eppure, come spesso accade nei thriller domestici, il climax tradisce un po’ le aspettative. La tensione accumulata con tanta cura viene, nelle battute finali, tradita da dialoghi esplicativi e rivelazioni letterali che spezzano la magia del lento accumulo di suspense. Nonostante Winstead e Monroe facciano tutto il possibile per tenere viva la credibilità, il film sembra tirare il freno a mano quando sarebbe il momento di far esplodere il caos. Il risultato è un finale meno soddisfacente del buildup — ricco di sangue e tensione — che lascia l’impressione di un’occasione mancata.

La forza del film, però, resta intatta: Garza Cervera riesce a rendere la paura domestica ancora credibile e contemporanea. Il pericolo non è più solo fisico, ma psicologico, sociale, emotivo. La classe e il privilegio di Caitlin giocano un ruolo chiave, mentre Polly, con la sua storia di privazioni e desideri repressi, guadagna una dimensione empatica pur rimanendo sinistra. La suspense diventa gioco di potere, moralità e inganno, dove le vere vittime sono spesso quelle che amiamo e di cui ci fidiamo di più.

La scelta di distribuire il film direttamente su Hulu è un colpo di scena intelligente: La Mano sulla Culla funziona meglio in un contesto di visione domestica e intima, dove la lentezza del racconto e l’attenzione al dettaglio psicologico possono essere apprezzate senza le distrazioni di una sala cinematografica.

La Mano sulla Culla (2025) è un thriller domestico che funziona perché gioca sapientemente con paura, desiderio e controllo. Garza Cervera reinventa il classico anni ’90, aggiungendo tensione queer, manipolazione psicologica e riflessioni sociali senza mai perdere il piacere del racconto. Monroe e Winstead offrono due protagoniste credibili, magnetiche e complesse, mentre Vega illumina il quadro con un’adolescenza problematica resa intensa e reale.

Chiara Guida
Chiara Guida
Laureata in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è una gionalista e si occupa di critica cinematografica. Co-fondatrice e Direttore Responsabile di Cinefilos.it dal 2010. Dal 2017, data di pubblicazione del suo primo libro, è autrice di saggi critici sul cinema, attività che coniuga al lavoro al giornale.

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