Cédric Klapish dirige il suo nuovo lungometraggio immergendosi ancora una volta nel mondo del balletto classico. La vita è una danza, in sala dal 6 ottobre, racconta della ballerina Elise che subisce un grave infortunio proprio durante uno spettacolo ma, da quel momento in poi, la sua vita cambierà totalmente.
Il regista e sceneggiatore francese ha un rapporto con il ballo che risale a più di dieci anni fa, quando aveva diretto il documentario su Aurélie Dupont uscito nel 2010, a cui sono seguiti vari progetti e contatti con ballerini e coreografi, come la realizzazione di Four contemporary dancers del 2018, durante la quale ha fatto la conoscenza di Hofesh Shechter, che in questo film interpreta se stesso. Celebre è diventato anche il suo cortometraggio Dire merci uscito durante il lockdown: un montaggio di video che i ballerini dell’Opera di Parigi hanno girando riprendendosi con i propri smartphone mentre ballano in casa.
Ma Cédric Klapish era già famoso dal 2002 nella scena internazionale grazie a L’appartamento spagnolo, fama che gli ha fatto toccare anche la serialità con Chiami il mio agente! esilarante ritratto del capriccioso mondo dei talent scout.
La vita è una danza è una sintesi dello stile di Cédric Klapish
La vita è una danza è dunque tutto questo: una perfetta sintesi dello stile del regista, che narra la storia di una ragazza dalla bravura eccezionale, e lo fa tuffando la macchina da presa tra i movimenti tesi e muscolari, delicati e fluttuanti a partire delle prime sequenze, appena assistiamo all’impatto con la fragilità del corpo di Elise (Marion Barbeau, prima ballerina dell’Opera di Parigi), fino ad arrivare ad un divertimento spiazzante, grazie ad attori come Pio Marmaï in coppia con Souheila Yacoub, o François Civil, che interpreta un fisioterapista ispirato a niente meno che Brad Pitt in Burn after reading.
Quindi la giovane Elise troverà e proverà se stessa misurandosi con quell’infortunio alla caviglia, che la condurrà verso un nuovo lavoro, dove conoscerà nuove persone e – forse – un nuovo mondo di danzare la vita, il ballo, la musica e, naturalmente, il suo corpo.
La traduzione del titolo evoca un aspetto metaforico, che in lingua originale è En corps, suggerimento ancora più profondo del viaggio che la giovane protagonista dovrà intraprendere fuori e dentro di sé, ma sempre unite a quelle punte di comicità quasi grottesca che caratterizzano il regista francese.
L’aspetto interessante del film di Cédric Klapish è infatti la leggerezza con cui attraversa fino ad atterrare su una tematica che nella sua semplicità, alla fine, risulta essere un fondamento: scoprire che qualunque cosa di bello si sappia fare, non rappresenta mai una destinazione finale, perché al centro c’è sempre l’unicità del proprio modo di essere, che può essere quindi declinata anche in direzioni diverse e, soprattutto, inaspettate.
Elise dovrà fare fisioterapia, riprendere a muoversi con cautela, cercando di affrontare la paura di fratturarsi di nuovo, o che la spaccatura subita continuerà a restarle dolorante. E tutto questo, ovviamente, non riguarderà certo solo la sua caviglia.
La fascinazione per i corpi
Cédric Klapish è palesemente affascinato dai corpi, dalla capacità che un essere umano ha di creare un’opera d’arte a partire da se stesso, dai propri arti, nervi, e quel modo incredibile, quasi inspiegabile, di riuscire a muoverli così. Con le lunghe sequenze dei balli, anche quelle colte nei momenti di gioco tra i personaggi, lo sguardo della macchina da presa resta in silenzio a guardare, seguendo gli scatti, la lentezza di mani, gambe e piedi, che con armonia seguono la musica e, attraverso l’uso della commedia e di qualche nota romantica, raccontano che il talento ha la missione di trasmettere una bellezza che altrimenti resterebbe muta. A dispetto di quel che possa sembrare, La vita è una danza scende in profondità e parla di quanto ognuno sia fondamentalmente insostituibile, con l’urgenza di rispondere a quel richiamo che riecheggia dentro ciascuno: usare quel dono, allenandosi, giorno dopo giorno.