Lady Macbeth: recensione del film di William Oldroyd

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L’Inghilterra dell’800 è costellata di grandi eroine: Elizabeth Bennet in Orgoglio e Pregiudizio fu dipinta come una donna razionale ed emotiva, Jane Eyre come una ragazza coraggiosa disposta a tutto per amore e Catherine Earnshaw in Cime Tempestose come una fanciulla testarda e orgogliosa.

 
 

Eppure la vera rivoluzione arriva oggi, con Lady Macbeth. Il libero riferimento a Shakespeare non ha nulla a che vedere con l’opera in sé, eppure è proprio questa definizione a ritrarre perfettamente le sfumature acri della protagonista: Katherine Lester a diciassette anni è costretta a impegnarsi in un matrimonio senza amore, com’era costume sociale dell’epoca, e la vita in cui è intrappolata diventa un circolo di morte per il suo animo ribelle, finché non incontra Sebastian.

Katherine è il blu che contamina l’asetticità dei contorni, è una donna anticonvenzionale dalle dubbie doti morali che dalla vita pretende sempre e soltanto costanti brividi d’avventura. Katherine insegue il pericolo, lo intercetta e lo punzecchia con una lingua sfacciata, ma soprattutto non sembra provare pentimento, mettendo in luce una carenza morale che va contro ogni struttura femminile dei romanzi ottocenteschi.

Lady Macbeth, che nacque come romanzo nel 1865 con il titolo “Lady Macbeth nel Distretto di Mcensk”, è un’opera prima del regista inglese William Oldroyd che si avvale di una giovane Florence Pugh per rappresentare la rivoluzionaria Katherine.

È stata legata troppo a lungo.”

“Lo è stata, signore. Legata troppo a lungo.”

Mentre per Shakespeare Lady Macbeth è una donna contorta e brutalmente geniale che farebbe di tutto pur di trattenere il potere nelle proprie mani, la Lady Macbeth di Oldroyd è una fanciulla che ha fretta di scoprirsi donna. Quella che sarebbe potuta diventare un’eroina dell’Ottocento si è trasformata in una delle creature più complesse mai affrontate.

Tra silenzi e inquadrature traballanti, a tratti irregolari, Oldroyd racconta la storia di una donna ribelle che dimentica il confine tra giusto e sbagliato. Katherine può apparire come una bambina nel cuore della fioritura, ma in realtà è una donna dall’appetito sessuale alla ricerca del proprio posto nel mondo e non ha vergogna di difendere ciò che è suo, anche a costo di arrivare alla violenza.

Con attenzione meticolosa dei colori, il supporto essenziale degli infiniti paesaggi inglesi in netto contrasto con l’arredamento minimalista e asettico degli interni, Lady Macbeth si dimostra un’opera prima perfettamente riuscita. Nonostante Katherine intacchi sempre più la sua carente quanto indubbia morale, a peccare in egual misura sono tutti gli altri: Sebastian lo stalliere, che si lascia trascinare in un turbine d’amore marcio, il marito Lester che non può ribellarsi alla famiglia e decide di ribellarsi in amore, e infine la cameriera Anna, una donna sottomessa alle regole sociali che pur di sopravvivere preferisce perdere la parola anziché confessare.

Fino a che punto siamo disposti a conservare la nostra libertà?

Il confine tra giusto e sbagliato è il tema ricorrente dell’intera pellicola. Katherine simpatizza con il pubblico nascendo come un piccolo uccellino in gabbia, ma di punto in bianco prende le sembianze di un fiero dragone. Ed è questa nuova sfaccettatura crudele e sbiadita che la porta a fare terra bruciata attorno a sé. Tutte le azioni inesplicabili di cui si è macchiata le si rovesciano addosso, soffocandola in una nuova prigione, che questa volta sembra essersi costruita da sola.

Tutto attorno a sé rimane vuoto, impolverato e marrone. Il vestito blu sembra essersi spento.

Sommario

Tra silenzi e inquadrature traballanti, a tratti irregolari, Oldroyd racconta la storia di una donna ribelle che dimentica il confine tra giusto e sbagliato.

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Tra silenzi e inquadrature traballanti, a tratti irregolari, Oldroyd racconta la storia di una donna ribelle che dimentica il confine tra giusto e sbagliato. Lady Macbeth: recensione del film di William Oldroyd