L’angelo dei muri, la recensione del film Tucker in uscita

Dopo il passaggio al Torino Film Festival, arriva in sala il noir italiano

L'angelo dei muri

La definizione di “favola nera” rischia di essere troppo vaga e fuorviante per L’angelo dei muri con cui Lorenzo Bianchini raggiunge finalmente il grande pubblico. Grazie all’impegno produttivo di Rai Cinema, MYmovies e per la prima volta della distribuzione Tucker Film, in molti potranno vedere sul grande schermo (a partire dal 9 giugno) il film di Lorenzo Bianchini presentato al Torino Film Festival 39. Non a caso nella serata di chiusura della sezione Le stanze di Roi, caratterizzata da “mistero e inspiegabile” e composta da storie meno omologate e classificabili.

 

Chi è L’angelo dei muri?

Come quella drammatica dell’anziano Pietro, raggiunto da un’ordinanza di sfratto dal suo vecchio appartamento e costretto a trovare una soluzione per sopravvivere. La sua solitaria quotidianità cambia, ma non troppo, nascosto nella stanzetta segreta che realizza a tempo di record nella stessa casa nella quale vive. E dove ora verranno a vivere altri.

Il via vai di operai guidati dal padrone di casa è infatti interrotto dalle scene di vita familiare di una giovane madre, preoccupata dalla malattia della figlia, cieca e spesso lasciata sola nell’appartamento. Per lei Pietro diventa una presenza abituale, senza esser fisica, e crea un legame quasi soprannaturale, in una realtà parallela fatta di suoni più che di parole.

Un dramma moderno e antico insieme

Ci si muove nelle crepe, delle vecchie pareti e dei nuovi tramezzi, ma soprattutto quelle esistenziali, di una serie di personaggi rotti dalla vita e a un passo dallo sbriciolarsi. Su tutti l’incredibile protagonista – interpretato dall’ottantasettenne Pierre Richard – scelto dal regista, che dopo Oltre il guado e le sue precedenti esperienze torna a occuparsi di solitudine. E a farlo in prima persona, come sceneggiatore, montatore e scenografo, oltre che regista.

Il controllo su tempi, rumori (dagli scricchiolii al sibilare del vento o le musiche scelte per rompere il silenzio) e spazi è totale da parte del direttore italiano, che usa al meglio tutti gli elementi in suo possesso e in un contesto claustrofobico e ossessivo costruisce una storia d’amore e disperazione non banale, dai risvolti sociali, e su più livelli. Nella quale la chiave potrà pure essere prevedibile, ma il “gioco di immedesimazione” cercato compensa con un’empatia particolare la mancanza della carica che ci si aspetterebbe in quello che viene presentato come un “thriller psicologico”, ma che potrebbe rispondere ai canoni meno frequenti dell’horror emotivo.

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